Capitolo 16

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«Voglio dire... perché non accettare? In fondo, non voglio più essere un peso economico per i miei.» Nora continua ad andare avanti e indietro per la cucina, gesticolando senza interrompersi un attimo per respirare. Come risveglio mattutino non è dei migliori visto che cerco con tutto l'impegno possibile di ascoltarla con qualche sbadiglio che non riesco a controllare. Per le sette e mezza devo essere al locale e, trovarmi Nora durante la colazione in preda ai suoi problemi non è una delle opzioni migliori per cercare di riprendermi.
Ieri non è stata una giornata, o meglio, serata facile. Dopo aver finito alle due e mezza circa, mi ritrovo a dover tornarci dopo cinque ore. Inutile dire che mi sono rannicchiata nel letto, tirandomi il lenzuolo sopra la testa, come facevo da bambina, e soffocando quei singhiozzi che mi rendono troppo fragile.
Rabbrividisco ancora alla sensazione di quella lacrima calda sulla guancia fredda accarezzata dalla brezza del mare.
«Cosa ne pensi?» Si arresta sul posto, portando poi un cucchiaio di cereali alla bocca, bagnati nella tazza stracolma di caffellatte.
«Mmh...»
«Non mi stai ascoltando vero?» Si acciglia, col suo sguardo sempre dolce. Non ho mai visto Nora arrabbiarsi, incazzarsi... perfino sbagliare. Sembra così perfetta agli occhi di una ragazza come me che non ha fatto altro che fare errori su errori. Non siamo perfetti. Lo so.
«Io penso che dovresti accettare questo impiego temporaneo nella biblioteca della tua scuola, ma non ne sono così sicura...» Mi alzo dallo sgabello e, mentre entro in camera, mi grida: «Cosa vuoi dire?!»
Metto nella borsetta di cuoio, a tracolla, il telefono e il minimo indispensabile. Infilo i sandali e sistemo la canottiera pulita sopra a dei semplici shorts di jeans.
«Dovresti studiare e concentrarti su questo, senza distrazioni... approfittare di un aiuto per continuare la tua strada. Insegui i tuoi sogni e ringrazia soltanto ciò che fanno per te... hai la fortuna di averli, Nora» Metto la borsa sulla spalla e le rivolgo un timido sorriso facendole capire che è meglio che mi lasci andare, che non mi faccia domande.

«Ciao Sean» Gli sorrido, entrando dall'ingresso.
«Chris, aspetta» Mi tiene il polso, facendomi girare. Lascia la stretta e non è la stessa sensazione di quando mi aveva toccata Chase, non mi rimane la scottatura, sulla pelle, delle sue dita. È stato ieri, a notte fonda, che ho deciso di scrivergli perché non riuscivo a dormire. Non so dove abbia preso il coraggio, ma evidentemente ero troppo rotta per ricompormi da sola come ho sempre fatto. Il mio orgoglio mi ha sempre impedito di chiedere aiuto alle persone vicine... ad Hazel. Ho preferito allontanarti piuttosto che farmi aiutare per uscire da quel giro.
«Dimmi» Sussurro, cercando di scacciare pensieri di troppo.
«Io... ecco, vorrei chiedere a Bridget di uscire, nulla di serio... solo per un caffè in un bar che non sia lo stesso posto in cui lavoriamo» Si gratta la nuca, un po' in imbarazzo, come se gli costasse tanto ammettere davanti a me -che l'avevo capito fin da subito- i reali sentimenti che prova per quella ragazza. Fa strano anche a me vedere un uomo così grande e grosso sciogliersi davanti ad una donna e, addirittura, sentirsi a disagio per dei sentimenti che fa fatica a reprimere.
«Buona idea!» Schiocco la lingua, dandogli una leggera pacca sulla spalla fasciata da una t-shirt che aderisce fin troppo al suo corpo muscoloso e vissuto da una guerra, da un qualcosa che è quasi più grande di noi... incomprensibile finché non ti ci ritrovi dentro.
Perché noi combattiamo sempre guerre con noi stessi, sentimenti contrastanti che portano un uragano dentro. Un rimescolarsi di pensieri e un caos che si fa fatica a domare.

Prima di finire il turno e tornarmene a casa per pranzo, finisco di riordinare le sedie dei tavoli che si trovano fuori nel gazebo, sulla spiaggia. Il sole è alto in cielo e tanta gente si riunisce sulle coste, in riva al mare, per passare una giornata tranquilla e divertente. Stringo le dita attorno al legno chiaro rendendomi conto che non sarò mai al loro posto, non riuscirò a fare un bagno in costume con i miei amici immergendomi oltre i fianchi. Non sarò in grado di farlo perché ripercorrerò con la mente quel giorno che rimarrà impresso nella mia mente sempre. Mi mordo l'interno guancia, sospirando. A volte mi sembra di essere troppo complicata, di pretendere troppo da me stessa, ma poi mi rendo conto che non sono altro che una stupida ragazza in cerca di una normalità che non può avere. Se penso a tutto ciò che non ho, a quello che ho fatto... vorrei seppellirmi fino al collo per evitare di condividere tutti gli scheletri nascosti nel mio armadio. Continuo a mostrarmi normale, come gli altri, col sorriso sempre sulla bocca. Poi mi rendo conto che, in realtà, non sono puramente me stessa, non sono la bambina di New York, l'amica di Hazel.
«Chris...» Un sussurro che arriva piano, inaspettato.
Alzo di scatto la testa, cercando di non mostrarmi sorpresa.
«Ciao.» Mi limito a dire, un po' impacciata. Ritrovandomelo davanti mi sono ricordata di quella sera, di quella notte in cui non riuscivo a rialzarmi e superare il buio, frenare le lacrime. È stato solamente poche ore fa.
Credevo di cedere e, in preda alla paura di non riuscire, gli ho scritto. Non mi ha risposto e mi sento un po' in difficoltà perché non riesco ancora a mostrare la fragilità che fa parte del mio essere.
«Ho visto ieri il messaggio, era tardi, perciò non ti ho voluto rispondere per non disturbarti. Quindi appena ho finito di lavorare sono venuto qua sperando di trovarti e... direi che...» Mi sorride, portandosi le mani sull'elastico dei pantaloncini estivi che si adagiano perfettamente sui fianchi stretti. Una canottiera larga e leggermente sgualcita lo copre, facendo intravedere di lato il corpo possente e abbronzato. I denti bianchi e gli occhi color nocciola che mi guardano, per poi soffermarsi sulle nocche che stanno diventando bianche da quanto sto stringendo la sedia. Le ritraggo, come se mi fossi scottata e le incrocio al petto.
«Lavori tutto il giorno?» Mi chiede, inclinando un po' il capo, i capelli biondi che sono stati tagliati e che non può spettinarsi.
«No, ora ho finito» Mormoro fingendomi disinvolta.
«Bene, ti aspetto sulla passeggiata.» Indica con un cenno del capo il lungomare, la strada che percorre il litorale.
Mi acciglio. «Chase, cosa vuoi dire?» Strofino le mani sul grembiulino nero.
«Andiamo a mangiare qualcosa.» Fa spallucce, per poi voltarsi, dirigendosi verso il posto che ha prestabilito lui ancor prima che gli rispondessi.
«Cosa ti fa pensare che ti dica di sì? Ho altre cose da fare...» Mento, ingoiando un groppo di saliva. So di essere stata proprio io a scrivergli, a chiedergli perché fosse tutto così complicato, perché facessi così fatica ad accettare gli errori che avevo commesso, come facessi a saltare sul pelo dell'acqua come aveva fatto quella pietrolina lanciata da lui stesso. Avevo bisogno di confidarmi con qualcuno che mi capisse, ma non so se sarei stata capace di parlargliene guardandolo negli occhi.
«Solo un'oretta, non di più» Mi dice con uno sguardo penetrante, come se volesse ricordarmi le parole di quel messaggio, come se volesse mettere in chiaro che le mie sono solo scuse e che l'ha capito benissimo che sto mentendo.
Rientro nel locale e vado nello spogliatoio. Ripongo il pezzo della divisa nell'armadietto e prendo la borsetta. Saluto Sean dall'altra parte del bar e Melanie che ha cominciato a servire qualcuno.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora