Capitolo 7

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«Ci sono i cereali? Sono in giro, così se mancano li compro.»
Sto parlando al telefono con Nora, mentre mi preparo. Il cellulare incastonato tra la spalla e l'orecchio, un'equilibrio più che precario. Tra le mani ho gli shorts che indosso con difficoltà, molleggiando tra una gamba e l'altra.
«Uhm, dovrebbero esserci. Ora guardo...»
«Che stai facendo?»
«Sto cercando di vestirmi.» sospiro, passando il telefonino dall'altro orecchio. Mi dirigo in cucina e apro lo scaffale dedicato alla colazione. Scuoto la scatola per capirne la quantità, per poi riporlo di nuovo nel mobiletto.
«Direi che sono da comprare. Ce ne sono pochi»
Nel mentre che parlo apro il frigo e controllo che non manchino le cose essenziali. «Prendi anche il succo.»
«Perfetto, grazie. Ci vediamo dopo.»
«Se per dopo intendi tra cinque ore ti sbagli. Lavoro fino all'una e mezza di stanotte... c'è uno stramaledetto party.» alzo gli occhi al cielo, sbuffando.
Non sono mai stata quel tipo di ragazza che ama organizzare una festa per il proprio compleanno; sono riservata, preferisco stare per conto mio, non essere eccessivamente al centro dell'attenzione. E forse in fondo nessuno, tranne una persona, mi ha mai capita veramente. Da fuori potevo dare una certa impressione, potevo passare per quella che si tinge i capelli solo per attirare l'opinione di tutti su di me, ma non è mai stata una mia intenzione. Questo è uno dei tanti esempi, perché se ho voluto farlo, l'ho fatto per il semplice motivo che volevo mostrare la mia personalità introversa e singolare, far capire che potevo essere Chris e non una qualunque che frequenta una combriccola di drogati.
In fondo, la gente si fa sempre uno schema preciso secondo il quale inquadra come sei. Basta un'occhiata, a volte, per poter affermare con certezza che magari quello non è un tipo da frequentare, o troppo strano, inadatto, per condividere qualcosa. È inevitabile, non nascondo che tutti, involontariamente, lo facciano senza neanche accorgersene. Abbiamo in testa prototipi e pregiudizi, opinioni che spesso sono sbagliate, ma che non vanno verificate. La gente si fa convincere da vari aspetti, crede alle voci che circolano, pensa di poter conoscere una persona quando invece le riserva a mala pena un'occhiata.
Superficialità. Pregiudizi. Dicerie. Tutto un falso, tarocco, assemblato male fin dal principio.
«Quei party pieni di persone che si imbucano a caso?»
«Il locale rimane aperto lo stesso ai clienti esterni. La festeggiata ha detto di non avere problemi, che il suo scopo è quello di bere in un posto pieno di musica, sulla spiaggia e molto frequentato. Detto tutto.» faccio una smorfia, cercando di capire a che cavolo pensa la gente, certe volte. Ci sono cose, non mi riferisco in particolare a questa, che non stanno né in cielo né in terra. Il compleanno, secondo una mia ragionevole opinione, ha un suo valore, un principio ben fondato. Anche se non gli ho mai dato peso perché, infondo, è un giorno come gli altri, penso che non bisognerebbe pensare ad ubriacarsi e limitarsi a sorseggiare svariati drink. Si dovrebbe approfittare del momento per riunirsi con gli amici per poter condividere qualcosa che si ricorda e non che si dimentica per una cavolo di sbornia.
«Ah, be'... buona fortuna allora!» ridacchia dall'altro capo del telefono.
«Ora vado, devo ancora mettermi la maglia e la felpa.» sorrido, anche se tanto non mi può vedere.
Se prima ero circondata da sola falsità, cambiando aria, ambiente e frequentazioni, ho avuto una bellissima occasione per conoscere persone a cui ho concesso la mia fiducia... un aspetto decisamente fondamentale per me.
In passato c'era una persona che riponeva fiducia in me ma, da come si può capire, ho bruciato tutto con un accendino che mi sono ritrovata per caso in mano. Rende l'idea.
«D'accordo. Ci vediamo domani mattina... probabilmente dormirò!»
Beata te penso, mentre realizzo la bella seratina che mi aspetta.

«Che cavolo... non potevano fare questo party venerdì? Così dato che è il mio giorno libero, mi sarei saltata questa scocciatura.» sbuffa Bri mentre riempie il frigo con i rifornimenti che sono arrivati oggi.
«Fa parte del lavoro, Bri. Cosa pensi? Di startene qui a servire un drink ad un vecchio alcolizzato annoiato, nel silenzio e nella solitudine? Siamo in un locale, su una spiaggia di Coney Island, a breve distanza dall'inizio dell'estate e pieno zeppo così» con le braccia crea un cerchio «di ragazzi che non vedono l'ora di festeggiare il loro compleanno!» squittisce Rox, per poi ritornare a passare uno straccio sui tavoli sparsi nella sala.
«Ho capito, lo so!» dice con tono nervoso, mettendosi le mani sulla testa, scompigliando un po' i capelli biondi.
«Ragazze, non mi sembra il caso.» intervengo con fermezza, mentre asciugo gli ultimi bicchieri.
«Scusa...» scuote il capo «È che sono stanca.»
«Sì, scusa anche me» interviene Roxanne sventolando il pezzo quadrato di tessuto che stringe in un pugno.
«Non dirmi che sei così irascibile per Dave.»
«Uffa... be', forse sì, il motivo è proprio lui!» alzo gli occhi al cielo per poi lanciare uno sguardo a Bridget che la pensa esattamente come me. Non mi piace vederla soffrire, perché anche se maschera tutto con il suo carattere, fa difficoltà a non sfogarsi con me... probabilmente mi vede come qualcuno che la capisce, anche se in realtà sono l'ultima persona alla quale rivolgersi in fatto d'amore, o qualcosa del genere.
«Questa volta va in viaggio per sei mesi, magari?!» domanda Bri, con tono di disprezzo nei confronti di un uomo che sembra non capire il valore di condividere, di ritagliare del tempo per la sua ragazza.
«I-io non so più che dirgli...» sussurra, avvicinandosi al bancone con le spalle ricurve, un sospiro di sconfitta che lascia uscire tra le labbra piccole.
«Devi mollarlo.» risponde monotono Bridget, con arroganza quasi, senza neanche prestare attenzione all'impatto morale.
Rox la guarda con occhi persi, assenti. Lentamente diventano lucidi e poi abbassa il viso, i respiri profondi e calmi di chi cerca di mantenere saldo l'autocontrollo.
Quando penso che sia sul punto di urlarle contro di tutto, sospira e si limita a dire una breve frase, come se volesse buttarla fuori.
«Hai ragione.» solleva lo sguardo, tirando su il naso.
«Scusa... io...»
«No, hai ragione. Devo affrontare questa situazione... questo... questo non va bene.» si incanta osservando un punto a caso sul tavolo. Il silenzio cala tra di noi, se non fosse per qualche suo singhiozzo.
«Forse è meglio se vai a casa» provo a dirle, volendola tranquillizzare. Non mi va di vederla così, non in queste condizioni... per lo più a lavorare.
«No, Chris. È proprio il lavoro che mi deve distrarre» si limita a dire, per poi chiudersi per diversi minuti nel bagno dello staff. Decido di lasciarla in pace e così fa anche Bridget.
«Allora vuol dire che parte di nuovo?» chiede, sussurrando, per evitare che senta.
«A quanto pare...» rilascio un lungo respiro, non sapendo più che pensare.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora