Capitolo 24

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Sto grondando sudore mentre cerco di prendere il respiro in una sala nella quale sembra mancare ormai l'aria. I corpi che ballano, la musica a spaccarti i timpani, e il pienone all'ora di punta, non è il massimo in una calda giornata d'estate. Non che mi dispiaccia, ma preferirei starmene sulla spiaggia a contemplare un mare calmo e guardare il riflesso della luna sul pelo dell'acqua. Mi berrei volentieri una birra fredda con i piedi sotto la sabbia, seduta per terra a toccare con i palmi i granelli ancora caldi del pomeriggio soleggiato.
Riparto col vassoio a consegnare un'altra dose di tequila a dei ragazzi che hanno occupato un tavolo all'angolo della grande stanza. Mi dirigo anche fuori per controllare che la situazione sia a posto, assicurandomi che tutti abbiano da bere mentre si divertono ridendo e parlando animatamente.
«L'aria condizionata non serve a niente. Non è che per caso è rotta? Venerdì ne parliamo a Drew.» Sbuffa Melanie, mentre mi passa accanto per portare degli shottini in giro.
Raccolgo i capelli in una coda alta, sistemandomi le mance nelle tasche del grembiulino nero. Pago l'affitto della casa e ciò che è più essenziale, con questi soldi... se non fosse per le mance non so come farei, lo stipendio non è granché.
Non appena la lavastoviglie finisce il lavaggio, prendo altri bicchieri visto che ne siamo a corto. Rubo il panno di Bri per asciugarli in fretta, non ci si ferma un solo attimo questa sera.
«Finalmente ti ho trovata in mezzo al casino!» La voce di Yvonne irrompe e sono confusa non appena me la ritrovo davanti, mentre prende posto sullo sgabello. Incrocia le braccia sul bancone, guardandomi con la sua solita espressione furba.
«Immagino che...»
«Si, non mi ci è voluto molto prima di farmelo dire da Chase. Non provare a chiamarlo o messaggiarlo per dirgli che sono qui.» Mi ammonisce con lo sguardo e vorrei ridere per come cerchi di intimorirmi, ma so cosa voglia dire scappare da chi ti vuole bene alla ricerca di una tua libertà personale.
«Lui dov'è?» Le chiedo, non l'avrebbe fatta uscire di casa a quest'ora, so che è molto protettivo nei suoi confronti.
«Con Ryan» Alza gli occhi al cielo e non so se sia per via delle mie domande o perché conosce quel ragazzo da tanto tempo, quasi fosse un secondo fratello.
«Perché sei qui?» Appoggio le mani sul banco, guardandola negli occhi nonostante il buio e qualche luce colorata che anima la sala.
«Non so con chi parlare...» Abbassa lo sguardo e vedo l'adolescente indifesa, la ragazza insicura che nasconde sotto al sua maschera. È coraggiosa, forte, perché come me ha da affrontare cose più grandi di lei ed è l'unico modo tirare fuori gli artigli e un buon scudo.
«Sto lavorando, non posso venire via.»
«Dieci minuti, non ti rubo tanto. Offrimi una birra e hai l'occasione per uscire un attimo sul retro.» Indica la porta dello staff e le bottiglie alle mie spalle.
«Non ci provare.» Scuoto la testa, vietandoglielo categoricamente.
Inclina il capo, studiandomi, l'espressione seria.
«Va' a casa, dovresti andare a scuola, domani.» Non so nemmeno perché lo dico. Lei non vive qui, non frequenta il liceo in questa città.
«Mi piacerai anche, ma non hai il diritto di dirmi ciò che devo fare. Siete tutti uguali!» Grida, ma non supera il volume della musica e fortunatamente non attira l'attenzione dei presenti. La guardo un po' frastornata da ciò che è appena successo, dal suo sguardo che chiede aiuto, dal suo scarso autocontrollo dovuto a qualcosa che sta divenendo insostenibile.
«Sei arrabbiata...»
«Ho bisogno di parlare con qualcuno, Chris.» La disperazione nei suoi occhi mi ricorda la mia, quando avrei voluto davvero trovare qualcuno. Mia sorella non era ancora tornata a casa e mia zia rappresentava il nulla... e il niente era tutto ciò che mi restava. Quando avevo litigato con la mia migliore amica Hazel, l'unica cosa che avrei desiderato era confidarmi con qualcuno, parlarne con una madre che se n'era andata via troppo presto, chiedere consiglio per come rimediare ad un danno collaterale delle mie stupide scelte. Avevo bisogno che qualcuno mi dicesse che la speranza c'era, che mi raccontasse come trovare il modo di farsi perdonare, che mi confidasse che alla fine tutti sbagliano e il rimedio si trova sempre.
Ma quel qualcuno non c'era mai stato e so quanto sia importante quando una persona te lo chiede esplicitamente, senza timidezza e senza vergogna. Voglio aiutarla, devo farlo.
«Va bene, dammi un secondo che dico alla mia collega che prendo qualche minuto d'aria.» Le lancio un'occhiata veloce per farle capire che ci sono se ha bisogno del mio aiuto, anche se potrebbe non interpretarlo.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora