Capitolo 28

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Apro lentamente le palpebre, faccio attenzione a non alzarmi di scatto per evitare che il dolore alla testa aumenti.
Impiego diverso tempo a capire cosa abbia combinato ieri, fissando svariati minuti il soffitto bianco di una stanza che non riconosco.
Capisco chiaramente che non è la mia, e nemmeno quella di Nora.
Scosto la morbida copertina che ha accarezzato le curve del mio corpo lasciate scoperte dal vestitino.
Me lo sentivo che la serata non sarebbe andata bene, mi sembrava che tutto filasse troppo liscio e perfetto.
Rilascio un sospiro di pura frustrazione, nervosismo, e rabbia per come ho reagito a quel messaggio.
Juliet è furba quando ci si mette e sa benissimo che parole usare per farmi crollare... non doveva farlo, doveva avere rispetto nei miei confronti.
Che poi il rispetto per le persone che ho abbandonato, dov'è?
C'è solo un mucchio di risentimento che mi ricorda puntualmente i miei errori.
Mi alzo e prendo coraggio per affrontare la realtà. O forse no.
Apro piano la porta e intuisco, dalla luce fioca della finestra del salotto, che è mattino presto. Fortunatamente è martedì e ho il giorno libero, non avrei saputo come fare se avessi dovuto affrontare anche la giornata di lavoro.
Non so cosa pensino di me le mie amiche, che opinione abbiano di me dopo che mi hanno vista spezzarmi in quel modo con così poco. Be', non sanno effettivamente cosa sia successo, ma avranno ben capito che posso solo rifugiarmi nell'alcol. Non riesco a parlare e a sfogarmi a parole come farebbero tutte le altre persone.
Forse è per il fatto che sono dovuta crescere troppo in fretta, che mi sono tenuta dentro troppe cose e non ho mai imparato a liberarmene sul serio.
Scorgo Chase addormentato sul divano e lancio un'occhiata all'orologio sulla parete: le sei e mezzo.
Mi fermo un secondo a guardarlo, imprimendomi nella mente i lineamenti rilassati, il profilo morbido, la tranquillità che traspare dal suo corpo mentre respira piano.
Mi strappa anche un sorriso vederlo stravaccato sul piccolo divanetto come un bambino, e mi chiedo se abbia dormito male per farmi restare nel suo letto.
Vedi? Ti sei preso un'altra volta cura di me. Ti ho portato nel mio mondo, ti sto mostrando le conseguenze dell'avermi conosciuta e frequentata come più di un'amica.
Dimmi che ti penti di questo tuo sbaglio, dimmelo che non mi vuoi, e per me sarà più facile lasciarti andare. Sto influenzando di nuove le persone a cui tengo, le sto portando lentamente nell'oblio del mio passato che non tarda a perseguitarmi. Le lancette girano e percepisco quasi lo scoccare di ogni singolo minuto.
Si muove un po' e mi affretto ad indossare le scarpe e avviarmi verso la porta. Non voglio che mi veda, non voglio vedere la delusione nei suoi occhi. Sarebbe troppo.
A passo felpato raggiungo l'uscio e, nel girare la chiave nella toppa, produco un suono piuttosto rumoroso.
«Merda!» impreco sottovoce, stringendo i denti.
Percepisco un movimento alle mie spalle, ma faccio finta di niente e do l'ultimo giro.
«... Chris?» biascica a voce più rauca del solito, essendosi appena svegliato.
Stringo le palpebre come per assicurarmi di essermelo immaginato.
È piuttosto buio il salotto, ma la mia figura si distingue bene comunque.
Premo sulla maniglia per aprirla, ma mi fermo.
«Cazzo, Chris, fermati.» si alza.
Voglio andare via.
«Dev-devo andarmene» continuo a voltargli le spalle, ma i suoi passi li sento. Si avvicinano e vorrei che si fermassero, non ragionerei ad avercelo di fronte a pochi centimetri.
«Ferma. Cosa ti prende?» uno sbadiglio sommesso a fine frase.
Serro la bocca, contorcendo la mia espressione. Sto male, non vorrei subire il suo sguardo, non ce la faccio a lasciarmi catturare da due occhi che mi hanno vista impotente e troppo piccola ad affrontare la vita.
Mi sono sempre dimostrata forte dinnanzi a lui, non sopporto il fatto di essermi esposta così tanto, di essergli apparsa così fragile e disperata da chiamarlo nella notte per sperare che venisse a confortarmi.
Rimbomba ancora nella mia testa il tono distaccato e freddo con cui mi chiedeva dove fossi, se avessi bevuto tanto da abbandonare la ragione e la coscienza.
«Chris, guardami.» il tono è piuttosto duro, me lo chiede quasi non ne potesse fare a meno.
Lottando contro la parte di me che mi scongiura di uscire da questa casa, lo faccio.
In un primo momento tengo basso lo sguardo, ma poi lo sollevo. Un po' per curiosità, un po' per cercare di fargli capire che non sono difficile da scalfire come crede.
«Lasciami andare...» mi tiene incatenata con i suoi occhi, il petto nudo che si alza e si abbassa, il suo respiro che accelera per poi sfumare nel silenzio di queste quattro mura.
«Perché? Dammi una ragione perché ti dovrei lasciare andare.» è brusco il modo in cui mi si rivolge, ma lo capisco. Lo vedo che è ferito dal mio comportamento freddo, e vorrei sbattergli in faccia che sono questa, la Chris di prima stava morendo lentamente. Ha riscoperto angoli di me che credevo perduti, e ora lo sono per davvero.
Vorrei che se ne fosse reso conto all'inizio di quanto fossi un disastro, di quanto lo fosse la mia interna esistenza in una vita che non ho mai voluto andasse per questo verso.
Vorrei che mi avesse vista per quello che sono fin da subito, ma ho contribuito a questa illusione anch'io, ho lasciato che nascesse qualcosa di ben più pericoloso di una banale amicizia.
«Io... io...» non so nemmeno cosa dirgli per convincerlo.
«Cosa è successo ieri sera?» incrocia le braccia al petto e cerco di non pensare al suo sguardo che corre lungo le curve del mio corpo fasciato dal vestito estivo. Il tono della sua voce è più calmo, addolcito.
«Nulla» butto fuori un po' d'aria, come per liberarmi la cassa toracica che mi tiene prigioniera di me stessa.
Non dovrebbe essere tutto così difficile.
«Dovrei crederci?» inclina un po' il capo, l'espressione accigliata.
Mi da fastidio che si preoccupi così, non dovrebbe importargli, dovrebbe scaricarmi fuori da casa sua, gridarmi addosso che l'ho chiamato perché avevo bisogno di lui solo in quel momento.
«Si...» sussurro, distogliendo lo sguardo, posando l'attenzione ovunque tranne che su di lui.
«Dannazione, Chris! Hai il coraggio di dirmi che non è successo nulla?! Quando sono arrivato stavi per addormentarti sul pavimento di un locale con tutto l'alcol nel corpo. Te ne stavi lì, rannicchiata su te stessa e gli occhi rossi per le lacrime! Pensi che dovrei crederti?!» alza il volume della voce, avvicinandosi di un passo.
Non riesco a sopportarlo.
«Devi allontanarti da me, hai capito?!» mi avvicino per spintonarlo. Si muove di poco, per non esserselo aspettato.
Le mani mi tremano per il contatto, la paura di ciò che potrei fare facendolo soffrire, la rabbia per tutto quello che non ho mai sistemato, il rimorso di non essermi curata di niente e di nessuno prima di venire qua.
«Devi stare alla larga da me! Mando sempre tutto a puttane, non sono capace di risolvere un cazzo! E tu complichi le cose!» ora sto urlando. Gli occhi mi bruciano per il pianto imminente.
«Complico le cose?» mi fa eco, puntandosi il dito contro.
«Si! È esattamente questo che fai! Non dovevi avvicinarti così! Sono una persona orribile, Chase, lo capisci?! Non ti rendi conto della persona che hai davanti?!» gesticolo con le mani in preda al dolore che si mischia alla pena che provo verso me stessa.
«Certo che me ne rendo conto sennò non sarei qui!» grida più forte di me e non ci curiamo di che ora sia, se i vicini verranno a lamentarsi.
«No che non te ne rendi conto!» la voce mi si spezza per colpa delle lacrime che escono senza preavviso, senza che riesca a fermarle «sono crollata e mi sono rifugiata nell'alcol per colpa di uno stupido messaggio. Io sono questo! Sono una ragazza che non troverà mai il coraggio di affrontare ciò che c'è a New York!» me ne pento subito. Sapeva da dove provenivo, ma non gli ho mai rivelato il legame che ho con quella città.
«Continui a convincerti di questo, ma non provi neanche a risolvere i tuoi problemi...» abbassa un po' il tono di voce, come se non avesse più la forza o la voglia di gridarmi contro.
Fa male anche a me, ma forse capirà.
«Dite tutti così ma alla fine mi ritrovo sempre nello stesso identico punto di due anni fa! Lo capisci che non potrò renderti felice, che non posso più starti accanto perché non riesco a guardarmi neanche allo specchio? Lo capisci o no?!» strillo, un respiro strozzato che si incastra nel petto. Singhiozzo, mi richiudo nelle spalle.
Si avvicina e, ancor prima che me ne renda conto, mi abbraccia.
Perché fai così? Perché continui a tornare da me nonostante tutto questo? Cos'è che non capisci?
«Lasciami...» mormoro contro il suo petto. La pelle calda e il suo profumo mi inebriano, e per un momento non ho più l'energia per continuare a combattere. Mi stringe forte ad ogni mio tentativo di allontanarmi.
«Chase, lasciami» piagnucolo ancora, ma non capisco cosa voglio realmente.
Non mi parla, non mi dice niente, si limita a tenermi stretta a sé.
«... stai sbagliando. Non devi starmi vicino» scuoto la testa come se fosse solo un brutto sogno dal quale risvegliarmi.
«Smettila.» immagino la sua mandibola serrarsi.
Il mio respiro piano piano si placa, trova il tempo di stabilizzarsi.
Il tempo sembra fermarsi davanti a questo istante.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora