Capitolo 25

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«Dici che sarebbe meglio la cravatta?»
Durante il tragitto, da casa mia al locale, Sean non ha fatto altro che chiedermi opinioni su come si dovrebbe vestire domani sera a cena con i genitori di Bri. È una ragazza riservata che ha sempre tenuto un po' di libertà per se ed è la prima volta che vedo compierle un bel passo avanti. Non credevo che avrebbe voluto far conoscere questo uomo fantastico ai suoi vecchi, ma vuol dire che c'è sotto molto di più.
«Devi essere te stesso. Se stai bene in una felpa, mettitela. Fregatene del giudizio altrui.» Faccio spallucce, la sabbia sotto i nostri piedi mentre decidiamo di non percorrere la passerella in legno. Ci avviciniamo all'entrata.
«La fai facile. Non credo che a loro piacerebbe che indossassi una felpa dei Lankers o qualsiasi altra cosa che non mi conferisca un senso di formalità. Devo incontrare i suoi, Chris! Devo cenare allo stesso tavolo dei genitori della mia ragazza. Bridget. Parliamo di lei se te ne sei dimenticata.» Sbuffa, riavviandosi i capelli frustrato. Mi fa male vederlo dannare così per una sciocchezza, sono sicura che non sia un dettaglio fondamentale per fare la sua conoscenza.
«Già di per se il fatto che tu ti sia prestato per difendere il nostro paese oltre oceano ti dà valore. Hai presente il rispetto che avranno di te?! Un ex soldato. Hai presente?!» Lo stuzzico cercando di provocarlo.
«Forse hai ragione...»
«Chiedilo direttamente a Bri. Non dirà una cosa molto diversa dalla mia.» Accenno col capo in direzione della ragazza bionda che, intenta, porta le bevande a dei tavolini nella sala. Neanche si accorge del nostro arrivo e ripenso a come fosse cieca davanti agli sguardi pieni d'interesse di questo ragazzone. La guardava in un modo che nemmeno sapevo descrivere, quell'affetto che vedevo manifestarsi nelle sue iridi quelle serate nelle quali doveva fare il buttafuori, ma avrebbe preferito restare al fianco di questa ragazza per proteggerla dal caos. Tirava certe occhiate per accertarsi sempre che andasse tutto nella norma e l'osservava come quando si sta dinnanzi ad un quadro.
«Ci becchiamo in giro.» Mi saluta, raggiungendola per stamparle un bacio a sorpresa tra i capelli, cingendola da dietro. Sono felice che un uomo tormentato da un passato come il suo, abbia nascosto in un angolo i suoi demoni per abbracciare una luce nuova alla ricerca di quella felicità che non si è concesso da troppo tempo.
Sorrido impercettibilmente, prima di indossare il grembiule e cominciare il mio turno mattutino in attesa che nel primo pomeriggio raggiunga Chase.

Man mano che mi avvicino alla torretta d'avvistamento dei Baywatch, noto in mare non esserci nessuno e molte persone che decidono di andarsene lasciando via via la spiaggia più libera. Li guardo confusa, i bambini che smettono di fare i castelli e si avviano sotto l'ombrellone, le madri che scrutano l'orizzonte, i padri che parlano tra di loro.
Il sole è alto in cielo ed è così caldo che non riesco a camminare senza ciabatte. Non mi avvicino alla battigia per un presentimento strano che devo accertare non appena raggiungerò Chase.
Scorgo venirmi incontro Ryan.
«Ehi.» Ci salutiamo, abbracciandoci.
«Cosa sta succedendo?»
«Avvistamento squali. Un bagnate è stato morso al polpaccio, è appena arrivato al pronto soccorso...» Scuote il capo guardandosi attorno per accertarsi che nessuno vada in acqua come precauzione.
C'era da aspettarselo, succede.
«... Cavolo.» Mormoro, incrociando le braccia al petto.
«Chase sta al comando, altri colleghi controllano a est. Tra poco torno. So che ti sono mancato.» Mi sorride, dandomi un colpetto amichevole sulla spalla facendomi ridacchiare. È veramente un bambinone.
Salgo le scale e busso alla porticina a vetri attraverso il quale scorgo il ragazzo dai ciuffi biondi cenere, la canotta rossa che credo sia il miglior vestito fatto appositamente per lui, come aderisce bene al corpo muscoloso e l'abbronzatura lungo le braccia. Le riconoscono. Proprio quelle che mi hanno tenuta stretta mentre ci incontravamo nell'oceano, mentre portava la mia anima vicina alla paura, ad un timore che non avevo mai superato. Il calore dei suoi palmi sui miei fianchi nudi era rimasto impresso come un tatuaggio, sentivo ancora la sua presa lasciata dalle dita, il petto che aveva ospitato il mio in un incastonato e bizzarro puzzle.
Tutto questo non era il piano di nessuno, ma era stato capace di aiutarmi senza pretendere niente.
In passato, a New York, tutto si faceva per un motivo, e un favore non veniva mai offerto su un piatto d'argento senza pretendere che ce ne fosse un'altro in cambio. Bisognava barattare con la stessa moneta di scambio e, la persona che eri in un primo momento, cambiava e il riflesso non era lo stesso allo specchio.
Rimasi colpita quando lui, proprio il ragazzo alto che mi sta di fronte, mi tese la sua mano per farmi risalire in superficie senza portarmi ancora più giù, affogandomi nei miei stessi demoni.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora