Man mano che il tempo passa, lo staff è quasi al completo. All'appello manca solamente Cody che, per fare un po' di scena, si fa attendere per poi cominciare a farsi notare con la sua splendida musica. Ho chiesto ieri a Drew di fare orario continuato, piuttosto che restare alla sera. Credo sia il datore di lavoro migliore, perché me l'ha concesso nonostante avesse bisogno di tutti, questa sera.
Scambio qualche parola con le mie amiche, ma non più di tanto, perché ho davvero poco di cui parlare. Roxanne è stata tutto il giorno a casa dei suoi genitori, così come credo il resto delle altre persone che conosco.
Invece ci sono io che lavoro qui dalle prime ore del pomeriggio fino a tarda serata per evitare di rendermi conto che sono più sola di quello che penso. Avrei dovuto passarlo in compagnia di mia sorella... ed eccomi qua, incapace di affrontare ciò che è più grande di me. Il bello di tutto questo è che mi sono costruita tutto io, e ora non sono in grado di abbattere un muro capace di farmi cadere in ginocchio davanti alle persone che ho deluso.
Rox mi ha chiesto ripetutamente se mi andasse di andare a casa dei suoi per evitare che festeggiassi il quattro luglio da sola, ma ho reclinato l'invito. Se non posso fare quello che faccio è soltanto colpa mia, e va bene così.
«Non ci credo che hai lavorato proprio oggi.» Mormora Ashton, appoggiando i gomiti sul ripiano dove sto sistemando i bicchieri per la birra che verrà data a metà prezzo.
«Anche te stai lavorando proprio oggi.» Ridacchio, anche se non ci trovo niente di divertente in tutto questo. Sdrammatizzo, sapendo benissimo che è la realtà che non voglio guardare in faccia.
«Su, Chris, sai quello che intendo» Sospira, guardandomi in modo serio. Osservo tutt'intorno notando, con sollievo, che tutti sono indaffarati a rifinire il locale per aprirlo alla gente che, sono sicura, è già in fila proprio oltre queste mura.
«No, non lo so.» Scuoto la testa, abbassando lo sguardo. Ash è sempre stato molto attento ai dettagli, di poche parole, ma estremamente diretto nel dire le cose, senza girarci molto attorno. Forse per questo Cody si è innamorato di lui. È un ragazzo forte e deciso che contrasta il carattere di un orsacchiotto. Wow, che fantasia.
«D'accordo, non insisto. Stacchi?» Riprende la conversazione, dopo qualche secondo di silenzio, non sapendo quanto mi stia facendo male. Non lo fa apposta, eppure sentirmelo rinfacciare mi fa rendere conto di quello che nascondo in un angolo ed evito come se fosse una malattia.
«Si, appena date il via alla festa.» Sussurro, convincendomi che sto facendo la cosa giusta. Quello che mi serve è una passeggiata lungo la spiaggia e poi il resto della notte nel mio letto a fissare quel cavolo di soffitto bianco. L'anno scorso avevo cominciato ad attaccare, sulle pareti laterali, delle foto ma non ho più continuato il lavoro. Dovrei, però, perché mi aiuta a viaggiare con la mente e ripercorrere momenti passati per staccare la spina del mio presente.
«Vieni qui.» Si allunga, racchiudendomi in un abbraccio un po' impacciato perché c'è un bancone che ci divide. Mi da una piccola pacca sulla spalla e riconosco, in questa semplice e banale azione, molto più di quello che può significare.
«Tieniti fuori da eventuali risse, non voglio far prendere un infarto a Cody» Gli punto un dito contro e, in risposta, incrocia le braccia al petto.
«Pensi ancora che non sappia tirare dei ganci destri da stendere a terra una squadra di football?» Inclina il capo, alzando un sopracciglio.
«Non ho mai detto che...» Alzo le mani, trattenendo un risolino.
«E non pensarlo neanche. Se faccio il buttafuori ne sono ben più che capace. So badare a me stesso...» Scrolla le spalle, allontanandosi di qualche passo per dirigersi verso la seconda entrata.
«... e pure te sai badare a te stessa.» Si volta, lasciando che le parole mi scivolino addosso.
Se fossi in grado di prendermi cura di me stessa, non scapperei dalle mie paure... le affronterei. Così mi faccio solo del male.
«Sono le dieci in punto! Via alle danze!» Esordisce a gran voce Sean, dalla parte opposta. Le porte si aprono e mi affretto ad andare nello stanzino sul retro per cambiarmi e uscire di qua, il prima possibile.Siamo abituati a dire troppo frequentemente che possiamo fare una cosa, senza prendere minimamente in considerazione che, forse, non ci conosciamo poi così bene.
Mi sono sempre ripetuta che sarei tornata in acqua, mi sarei vendicata di quell'oceano che mi aveva tolto parte dell'infanzia, che mi aveva sottratto una delle poche persone che mi capissero. Mi dicevo che avrei fatto un bagno dominata dalla pace più profonda e sarei riuscita ad arrivare a largo, quel punto indefinito che indicavo sempre col ditino.
Me lo sono promesso più volte, sperandoci troppo. Eppure eccomi qui, a fissare la distesa blu come se non l'avessi mai vista. Gli occhi che lo seguono nei movimenti fluidi, rapita dai riflessi della luna sul pelo dell'acqua. Lo guardo perdendomici dentro, costringendomi che in realtà non ho paura.
Ruoto il capo alla mia destra, per continuare. I passi diventano lenti quando vedo la sua figura in piedi, proprio sulla sabbia bagnata, le piccole onde che riversano la schiuma bianca sui piedi. I lampioni illuminano quanto basta per far sì che si accorga di me, appena arrivo a qualche metro di distanza da lui. Inconsciamente tremo, probabilmente al pensiero delle sue iridi che vagano lungo il mio corpo, soffermandosi sugli occhi che tengo bassi per evitare che legga la mia angoscia.
«Non pensavo ci fossimo dati appuntamento.» Ammicca, nascondendo le mani nelle tasche dei calzoncini. Lo affianco, la mia spalla che quasi sfiora la sua.
«Infatti.» Mormoro, il tono che è colmo di vibrazioni sconosciute, il respiro che è sordo, lo stomaco in subbuglio. Ingoio un groppo di saliva, schiarendomi poi la gola, non riuscendo a tollerare questo silenzio.
«Il quattro luglio si festeggia» Mi volto, cercando di studiarlo. Serra la mandibola, alzando il mento verso il mare, evitando, meglio che può, le miei iridi che lo seguono, curiose. Dondola leggermente la gamba, come se non riuscisse a stare fermo per una strana agitazione che è scaturita improvvisamente a seguito della mia affermazione. Posso capirti.
«Grazie per l'informazione» Scuote il capo, ghignando leggermente con l'intento di levarsi dalla situazione scomoda e far sembrare ridicolo qualcosa che non lo è per niente. Mi sorprendo che anche lui si ritrovi, come me, a dover affrontare qualcosa. Il suo essere serio in una giornata di festa, in un'apparente solitudine quando si dovrebbe stare in compagnia. Be', non ha molto senso quello che sto dicendo. Potrebbe essere che la sua famiglia viva in Europa o in Australia -che so- e non possa raggiungerli per un solo giorno.
«Non devi sentirti in imbarazzo... non sei l'unico a volersene stare da solo in un giorno come questo.» Faccio spallucce cercando di sminuire la cosa, quando in realtà muoio dalla voglia di sapere perché si trovi anche lui qui.
«Lo vedo...» Si volta qualche secondo per lanciarmi una fugace occhiata che mi colpisce, mi taglia in due come una spada, mi brucia come fuoco.
«... Stare qua continua ad essere una via di fuga» Sussurro, cercando di non far caso alla parte di me stessa che si è sgretolata sotto le sue dure, ma dannatamente vere, parole.
«Come fa ad esserlo se non sei mai entrata in acqua?»
Rimango interdetta, raddrizzo la schiena ricordandomi che sono stata io a dirgli di questa cosa, o meglio, l'aveva intuito benissimo da solo.
«Non è vero che non ci sono mai entrata...» Quasi parlo a me stessa, convincendomi che, in effetti, era così un tempo. Come una seconda terra ferma.
Il silenzio cala, l'oceano che si insinua tra noi liberamente, senza chiedere. Il fruscio delle onde colma quel poco che non riusciamo a riempire con le parole.
«Tranquilla, non mi aspetto che tu mi dia spiegazioni» Sospira, ponendo la sua attenzione sulle dita dei piedi che, puntualmente, si bagnano.
Resto a guardarlo chiedendomi cosa otterrò se andrò avanti di silenzi, parole non dette, memorie lasciate chiuse senza mai essere liberate. Penso a come mi sentirò a parlare di questo dolore che, ogni volta che vengo qui, mi opprime come un peso che porto sulla schiena. Rifletto sul fatto che, forse, Chase è una persona che mi può capire, che mi può aiutare o, soltanto, lasciarmi sfogare.
Fa un passo e, con le mani a coppa, prende un po' di schiuma. La lascia scivolare tra le dita come con la sabbia, le gocce che scendono lentamente, con una certa discrezione.
«È stato un trauma per me, quel giorno» Mormoro, cercando di non far caso alla morsa che mi stringe, il respiro che si fa pesante. Incrocio le braccia al petto, guardando verso il buio orizzonte.
«Chris» Tenta di fermarmi, ma non voglio. Desidero che mi ascolti, che mi capisca, per evitare che questo incubo mi perseguiti, per far sì che riesca a superare la soglia che mi sono posta.
Lo sento proprio il suo sguardo bruciarmi sulla pelle, il soffio caldo sul collo, la sua presenza importante al mio fianco che mi fa sentire in qualche modo protetta, rassicurata. Evito il contatto visivo, focalizzandomi sul mare, su quest'acqua sconfinata che mi rende vulnerabile.
«Era uno di quei pomeriggi in cui il sole spaccava le pietre, piena estate. La brezza mi scompigliava i capelli e avevo il profumo di salsedine sul corpo. I miei piedini che affondavano nella sabbia lasciando che si scaldassero, per poi correre fino all'acqua evitando di ustionarmi.» Ridacchio tristemente, nostalgica di quella sensazione, ma lui rimane in silenzio, rapito da un racconto che ho sempre tenuto per me, come se sentissi il bisogno di soffrire da sola, lasciare che il ricordo viva e muoia dentro di me.
«Scorrazzavo nell'acqua, permettevo alle onde di portarmi con loro, la schiuma tra i capelli... era tarda mattinata e, in quella spiaggia, c'erano davvero poche persone» Mi sistemo i capelli dietro l'orecchio, descrivo cerchi con la pianta del piede. Lentamente, una calma che predomina. Ancora sono stupita di come riesca a controllare le emozioni, la voce che si spezza ogni tanto in gola.
«Il nonno mi raggiunse, portandomi con sé. Amavo talmente tanto il mare che sapevo nuotare benissimo, nonostante la mia giovane età. Insomma, il mio posto ideale dove potevo divertirmi e abbandonarmi alla sensazione di leggerezza» Accenno un sorriso, rammentando ciò che non provo da troppo tempo, che non vivo più fino in fondo. Ne ho solo un ricordo.
Non ho il coraggio di voltarmi per guardarlo, non voglio. Sarei distratta dalle sue iridi, non riuscirei a continuare perché mi perderei nelle sue curve, nella mandibola che contrae senza accorgersene, nei muscoli che si nascondono sotto la canottiera.
«Cominciammo a nuotare, bracciata dopo bracciata. Non andammo a largo, perché avevo circa otto anni. Il... nonno mi seguiva, mi sorrideva e mi faceva tuffare aggrappandomi alle sue spalle.» Sprofondo un piede sotto i granellini vaganti, la sensazione di umido tra le dita, la pelle d'oca sulle braccia.
«Poi ad un tratto, risalendo in superficie, non... non lo vidi più. Lui era... sparito. Ero minuta e mi sembrava di essere solamente una goccia in quella distesa infinita.»
Non c'è paragone migliore per descrivere quell'attimo. Mi ero sentita non piccola, di più. Uno scricciolo, una briciola di pane caduta per terra, abbandonata a se stessa. Mi pervadeva una sensazione di vuoto, di abbandono.
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Indelebile come un tatuaggio
RomanceChioma tinta di blu, occhi ambrati e qualche tatuaggio rispecchiano la personalità indipendente di Chris, una ventenne che lavora in un locale di Brooklyn. Persa tra i suoi pensieri ed estremamente misteriosa. Una ragazza difficile da dimenticare e...