Capitolo 10

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Vengo svegliata dal profumo di pancakes proveniente dalla cucina. Un raggio di sole ribelle si adagia prepotente sulla mia pelle, oltrepassando la tenda. Lascio che i miei occhi si abituino e che il mal di testa svanisca lentamente.
Raggiungo i fornelli e trovo Rox intenta a sciacquare una pentola, l'acqua del rubinetto che scroscia scivolando sotto le sue mani, ripulendo l'unto del burro.
Cammino a piedi scalzi, percependo volta per volta il fresco provenire dalle piastrelle bianche e squadrate.
«Ciao...» quasi sussurro, evitando di dire buongiorno, perché è tutt'altro che un buon giorno.
«Ciao Chris... aspetta...» parla tra sé e sé mentre appoggia la pentola per farla scolare, per poi asciugarsi le dita nell'asciugamano posato sulla spalla.
«... Eccomi» fa un sospiro, sedendosi di fronte a me, non prima di mettere al centro del tavolo i fatidici pancakes con la mia tazza di tè fumante e la sua di caffè nero.
«Posso chiederti come va?» azzardo a dire, girando il cucchiaino nella tazza alta senza una ragione precisa. Mi piace, quasi mi ipnotizza, osservare il vortice di liquido che si crea; un tornado che ti assorbe e ti affoga.
Abbiamo passato quasi tutta la notte rimanendo abbracciate, nel silenzio della mia stanza, nel buio che ci rendeva parte di esso. Due ombre quasi indistinguibili in un blu pesto. Ho lasciato che il suo cuore parlasse, che le sue emozioni gridassero la sofferenza, ma allo stesso tempo la libertà di cui gode ora. Indipendenza, poter decidere, scegliere e riflettere su ciò che ha appena affrontato. La possibilità di capire gli errori, per non poter sbagliare di nuovo.
«Più leggera» si limita a rispondere ed inevitabilmente ripenso alle parole di Chase, alla sua sensazione di leggerezza in acqua, in quella distesa immensa e inesplorata se non dai suoi occhi che sembrano spogliare, ogni volta, le onde che si riversano sulla spiaggia.
«Un passo per volta» accenno un piccolo sorriso rassicurante. Di rimando cerca di farlo anche lei, nonostante la tristezza sia ancora stampata in quegli occhi verdi.
«Un passo per volta...» ripete a se stessa, voltando lo sguardo verso i vetri che si affacciano sulla strada, da cui si intravede la linea d'orizzonte del mare. Le iridi che cercano qualcosa o qualcuno nella distesa di colori dinnanzi a noi. Lo sguardo di chi ha deciso di ricominciare, di voltare la pagina di una storia senza finale.
Sii forte.

Cammino per la stanza, la tazza tra le mani e i capelli che ricadono sciolti oltre le spalle.
«Dovresti essere a casa, lo sai?» le dico, per poi finalmente sedermi sulla panca che c'è dalla finestra.
«In realtà dovrei già essere uscita.» alza gli occhi, ancora arrossati da ieri, al cielo.
«Non esiste. Chiamo Drew e glielo dico...»
«Chris, ho bisogno di fare qualcosa. Lo sai benissimo.» quasi mi fulmina con lo sguardo, il capo che ritorna chino sulla tazza.
«Va bene, non insisto» allzo una spalla, per poi farla ricadere lentamente.
Rox è una delle persone più forti che conosca, la grinta che ha per qualsiasi cosa e la giusta voglia di rialzarsi quando si deve. In parte è anche grazie a lei che sono qui, ho un lavoro, una casa e perfino degli amici. Ho trovato come un'ancora su cui appigliarmi dopo una rabbiosa tempesta.
«Cosa hai intenzione di fare?» le chiedo, affrontando subito l'argomento.
«Dimenticare. Certo, non nel vero senso della parola. Più che altro scordare il dolore.» sussurra.
Non credo si possa. Cancellare il dolore è una delle poche cose che noi esseri umani non siamo in grado di fare. Diciamo di essere intelligenti, di essere evoluti, talvolta anche perfetti... ma non siamo capaci di mettere da parte per sempre ciò che ci ha fatto soffrire. È una forma grave di impotenza, vista da questa prospettiva.
«Sai che non è possibile.»
«Ci provo. Tu mi aiuterai...» mi sorride appena. C'è tristezza dietro quegli occhi, non può non nasconderlo, ma so che sarà perfettamente in grado di continuare. Non ho neanche bisogno di scommettere.
«Per prima cosa... un foglio...» mi alzo, poggiando la tazza in porcellana sul ripiano per poi dirigermi in camera di Nora. Apro la porta, ritrovandola sul letto, ancora sotto il lenzuolo, intenta ad ascoltare musica.
«Ho sentito rumore ieri... hai invitato qualcuno?» chiede, spostandosi una cuffia di lato. Il pc illuminato è posato sulle ginocchia coperte, la luce che filtra impetuosa dalla finestra.
«C'è Roxanne. Storia lunga... poi ti racconto.» le faccio l'occhiolino, mentre vado dritta dalla scrivania.
«Prendo un foglio e una penna!» esclamo, alzando la voce, in modo che mi senta.
«Okay... e salutami Rox. Sono troppo stanca.» scuote la testa e rido nel mentre che chiudo la porta. Ritorno in cucina e libero la superficie dell'isola.
«Ti saluta Nora. Troppo pigra per alzarsi... niente di personale.» ridacchio e lei mi segue per poco.
«Allora, scrivi il suo nome.» le giro il foglio, togliendo poi il cappuccio alla penna per consegnargliela.
«Chris...» sussurra, il respiro che le si mozza in gola.
«Fallo.» determinata ad aiutarla a mio modo, la convinco. Non sono brava a riparare le ferite, perché sono sempre stata dall'altra parte della sponda... vale a dire chi le provoca.
Con la mano un po' tremante scrive Dave al centro del foglio bianco e, velocemente, comincio a costruire una barchetta.
«Abbiamo gli stessi orari oggi, vero?» domando, cominciando già a progettare.
«Uhm... sì, perché?» mi guarda con fare interrogativo, il sopracciglio dal profilo perfetto che si solleva in cerca di una qualche plausibile spiegazione a ciò che mi sta girando per la testa.
«Stasera faremo una cosa, se ti va.»
«D'accordo...» l'incertezza nella sua voce e gli occhi che continuano a fissare quel foglio che contiene quel nome, come se gli stesse chiedendo perché sia finita così.

Indelebile come un tatuaggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora