Capitolo 3

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Giulio

Apro la porta di casa e in un attimo mi tolgo i vestiti, rimango solo con i boxer e mi butto nel letto.
I ricordi cominciano a riaffiorare.
Avevo 3 anni quando ho conosciuto Luca, eravamo all asilo, lui si è avvicinato a me, ha sorriso e mi ha chiesto se poteva dare un morso al mio pezzo di pizza perché stava morendo di fame, io gliene ho data metà e da lì non ci siamo mai più separati.
Lui e la sua famiglia mi hanno salvato la vita.
Mia madre e' morta che avevo poco più di un anno, non ho ricordi di lei, solo qualche immagine sfocata.
Mio padre invece è uno di quegli uomini che si sono fatti da soli, ricco, potente, venerato ma sopratutto temuto.
Ha costruito il suo impero da solo e durante il suo viaggio verso il successo si è dimenticato di me. Ricordo le facce delle mie tate, alcune più di altre, duravano il tempo che lui se le portasse a letto.
Non ha mai giocato con me, non mi ricordo di aver riso con lui. Non c'era mai, era sempre via per lavoro o fuori con i suoi amici,  almeno era che così mi diceva la governante di turno.Ha sempre provveduto a colmare la sua assenza prima con i regali e poi con i soldi, potevo avere tutto quello che volevo mi bastava aprire la bocca. So che i genitori di Luca e Alice mi hanno salvato la vita perché mi hanno educato, altrimenti adesso non so dove sarei.
Quando ho cominciato a fare le elementari andavo in bici fino a casa del mio migliore amico e dopo un po di tempo ho preso l' abitudine di fermarmi a dormire la notte per non tornare in quel enorme casa vuota. I genitori di Luca avevano telefonato a mio padre e lui aveva acconsentito, per lui non faceva differenza, aveva detto.
Un giorno erano arrivati due ragazzi con un letto a castello è un biglietto di mio padre, ricordo le parole scritte su quella carta come fosse ieri, avevo sorpreso Maria e Edoardo a leggerlo la sera tardi in cucina " un piccolo pensiero per il disturbo, anche se so che non può essere abbastanza". Si avete capito bene, io ero il disturbo. Lo so che molti di voi potrebbero pensare che la ricchezza basti per essere felici ma io avrei barattato tutti i soldi del mondo per un abbraccio di mio padre, avrei venduto l'anima per una serata davanti alla televisione a guardare un film mangiando pop Corn.
A volte guardavo Luca che giocava con Edoardo o Alice che cucinava con Maria e mi si stringeva il cuore, riservavano lo stesso trattamento anche a me ma mi mancava qualcosa.
Mio padre aveva iniziato aprendo una piccola ditta di costruzioni che con il tempo si era ingrandita sempre di più fino ad arrivare a contare un migliaio di dipendenti con diverse filiali sparse in tutto il globo. Io sono un ingegnere anzi per dirla tutta da due anni a questa parte sono ufficialmente il capo di tutto, mio padre ha deciso di mollare e di andare a vivere con la sua nuova compagna e il figlio piccolo di lei in un isola tropicale. Un giorno era entrato nel mio ufficio, aveva bussato e lui non aveva mai bussato prima. Era appena tornato da un viaggio di lavoro di due settimane a Mosca.
Mi aveva guardato in faccia, si era sistemato la cravatta costosa e poi aveva parlato
"Giulio ho deciso di lasciare tutto in mano a te, parto con Barbara e Andrea, il mio lavoro l ho fatto, so che tu te la caverai egregiamente, gli altri amministratori delegati lo sanno già, tu prenderai il mio posto con tutte le responsabilità e i privilegi che derivano dal essere dirigente, tutto continuerà come prima" la possibilità che io dicessi di no non erano state minimamente calcolate " so di non essere stato un buon genitore con te, quindi voglio provare a cambiare" pausa ad effetto " con Andrea" e certo io ormai avevo 27 anni ed ero solo il suo vero figlio. Ma lui mi lasciava l'azienda e io dovevo essere contento. Era questo che mi stava dicendo. Poi aveva tossito si era nuovamente sistemato la cravatta ed era uscito. Nel giro di un mese era partito e io ero diventato dirigente della Solar & co.

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