Phillip Island: Crash and Burn

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Era andato tutto in fumo. Un anno di fatiche, combattimenti e rinunce buttato via in una sola gara e per una sola posizione. Non era vero, lo sapeva, dopotutto era realista. Il mondiale le era scivolato tra le dita già al Sachsenring, ma solo in quel momento poteva dire con certezza che il titolo era andato una volta per tutte.
Aveva chiuso la porta del motorhome dietro di sè lasciando cadere la maschera di spavalderia, che era stata costretta a mostrare ai giornalisti fino a quel momento.

La gara era stata a dir poco magnifica, o per lo meno, immaginava che rivedersela in televisione sarebbe stato estremamente divertente. Con i suoi sorpassi al cardiopalma e manovre al limite dell'irregolarità, Phillip Island era stata, probabilmente, la gara più combattuta della stagione.
Il terzo posto però bruciava. Bruciava più di quanto qualsiasi podio avesse diritto di fare. Il mondiale era finito per lei, almeno a livello aritmetico. Non c'era modo di sperare in un miracolo per vincere il titolo. Magari se non fosse finita fuori traiettoria in curva mentre combatteva con Zarco e Iannone, se non avesse dovuto recuperare cinque posizioni negli ultimi tre giri, allora avrebbe avuto qualche speranza di andare a sfidare Marc per la vittoria.

Si era lasciata cadere a terra, sedendosi contro il muro e scuotendo la testa. Le gare non si vincevano con i se e con i ma, piuttosto con la furbizia e con la moto. Cose che, a Marquez, sembravano non mancare mai.
Ci aveva messo qualche minuto a raccogliere le forze necessarie per alzarsi in piedi e trascinarsi verso il bagno in uno stato di semi incoscienza. La sua mente che le riproponeva per l'ennesima volta la domanda che Guido le aveva posto nemmeno mezz'ora prima. Aveva chiuso gli occhi sfilandosi la tuta e lasciando che l'acqua ghiacciata le scorresse sul corpo. L'allusione di Meda al suo poter combattere per il secondo posto nel mondiale le lasciava l'amaro in bocca. Le sembrava solo un altro modo per addolcire la pillola, come se essere la prima dei perdenti potesse in qualche modo migliorare il suo umore. La verità era che non si era dimostrata all'altezza di vincere e un secondo posto non avrebbe migliorato la situazione.
Ora che era sola poteva ammettere, almeno a sé stessa, che sapere di non poter vincere il titolo insieme a tutti i problemi che la Yamaha non sembrava essere in grado di aggiustare, riusciva a farle sentire tutta la stanchezza che aveva accumulato da inizio campionato.

Si era appoggiata al muro, passandosi una mano tra i capelli bagnati. Anche Motegi era stata un disastro, l'apoteosi di un fine settimana iniziato male e che si era concluso anche peggio. Con la caduta di Vale che le aveva fatto trattenere il fiato per qualche secondo e un nono posto che le aveva fatto perdere fin troppo terreno rispetto a Marc e Dovi.
Aveva osservato le gocce d'acqua che le correvano lungo il corpo, quel fisico fin troppo asciutto e allenato su cui aveva dovuto lavorare per anni. La sua pelle fin troppo piena di cicatrici e lividi per essere considerata graziosa. Si era passata le dita sui lividi lasciati dalla sua ultima caduta, sfiorando appena la pelle tumefatta, l'highside nelle libere di venerdì, un volo dalla moto ad alta velocità nella decima curva del tracciato che l'aveva fatta finita rotolare nella ghiaia per una decina di metri. Era spaventoso come ormai il dolore non venisse nemmeno registrato nel suo cervello. Preoccupante sapere quanto tutti i piloti riuscissero a ignorare i loro infortuni in nome dello sport.
Si era finita di lavare velocemente cercando di ignorare il modo in cui la sua mente sembrasse lavorare più velocemente della sua moto. Non aveva senso riflettere su quel genere di cose. Non in un momento come quello. Era uscita dal cubicolo, asciugandosi in fretta prima di indossare un paio di pantaloni della tuta e una canottiera.
Si era osservata nello specchio, riconoscendo a fatica la ragazza dagli occhi spenti che ricambiava il suo sguardo. L'inizio esplosivo del campionato le aveva dato fin troppe speranze. Avrebbe dovuto sapere che non sarebbe durata, sarebbe stato troppo da chiedere. Aveva forzato un sorriso che la figura nello specchio aveva ricambiato con un lieve sollevarsi degli angoli della bocca in un ghigno ben poco convinto.
Cosa si aspettava? Di poter essere Valentino Rossi? Di poter eguagliare Marc? Aveva scosso la testa cercando di impedirsi di pensarci. Sapeva fin troppo bene di non potere eguagliare Marc e nemmeno ci provava a mettersi in competizione con Rossi. Sperarci, anche solo per un attimo, era stato un miraggio.

Una vita ai 300km/h ||Valentino Rossi|| [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora