Capitolo 12

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Mi sta a sentire.

Ci avviciniamo alla fermata meno distante da casa nostra, sentendo l'umidità trapelare nelle ossa. La pioggia sembra essersi calmata di colpo ma il freddo lo si avverte comunque. Osservo la mora che mi dà le spalle, indossa una maglietta nera a mezze maniche, gli occhi di Tupac Shakur su di me mi fanno sentire osservata. Mi guardo intorno e consulto il tabellone illuminato con tutte le tappe ma qualsiasi proposta viene bocciata da Lauren.

Sono tentata dal tornare indietro e abbandonarla al suo destino, ha campato ventidue anni senza di me e di certo non le servo io per continuare a sopravvivere. Sto per aprire bocca, colta dall'ennesimo nervosismo, ma lei mi anticipa.

"Eccolo!" Indica il treno che a tutta velocità si piazza davanti a noi. Siamo senza biglietto e all'interno ci sono degli uomini in divisa. Quindi l'ansia comincia ad impossessarsi del mio corpo come è giusto che sia. "Entriamo solo per chiedere informazioni." Dichiaro io, mettendo piede nel convoglio. Lei mi segue a ruota, quasi come se dettassi io legge.

"Mi sa dire... per andare, - mi blocco di colpo e mi volto verso la mora - dove dobbiamo andare?" Lauren scoppia a ridere mordendosi le labbra. Sgrano gli occhi perché non mi sembra proprio il momento adatto per scherzare dato che il tizio davanti a noi è impassibile.

Un pensiero veloce mi attraversa la mente. È quasi l'una, chissà da quanto è in piedi, magari dopo una giornata intensa di lavoro. E si ritrova davanti due cretine; una alterna una parola giusta ad una sbagliata in spagnolo ed una con una faccia da schiaffi ti scoppia a ridere in faccia. 

"Fai la seria." Provo a dirle ma prima ancora di finire la frase le porte si chiudono e noi restiamo chiuse dentro. Un mio urlo spontaneo invade il cubicolo, istintivamente mi propendo per evitare di restare qui dentro ma ogni sforzo è nullo.

Lauren ride veramente in tanto in questo momento, io la guardo sconvolta.

"Dovresti vederti!" Si siede sul primo posto libero che trova - ce ne sono parecchi a quest'ora - e si trattiene dal ridere. O meglio, ci prova. I risultati non sono grandiosi.

"E ora dove andiamo?" Le chiedo, sconsolata. Guardo fuori dal finestrino e tutto ciò che scorre sono case e ancora case. Qualche lampione che illumina la strada vuota e poi sempre più case. "Arriviamo all'ultima fermata?" Domanda lei.

"Penso che qualcuno, ad esempio un controllore, ci farà scendere prima."

"Gli chiederò se vuole un pompino." Credo di spezzarmi il collo per la velocità con la quale mi giro verso la mora e le do uno schiaffo sulla spalla. "Calmati! Sto scherzando!"

 Alla fine scendiamo dopo poco più di tre fermate, notando una figura sospetta aggirarsi tra i vagoni. Non siamo proprio nella zona viva di Ibiza, anche se la musica proveniente dalle discoteche è avvertibile. Camminiamo per le strade più o meno popolate, col freddo che mi accompona la pelle.

"Allora, non l'avrei mai detto: tu che prendi e parti, in una nottata qualunque, con una come me." Comincia lei, guardandomi di traverso. Sembra trattenere qualche sorriso soddisfatto. E io non voglio darle vinta su niente. Sarò infantile, ma non mi importa. "Lauren, evita di usare espressioni come "una come me". Ti senti troppo speciale e differente dagli altri."

Lei scoppia a ridere, cosa che accade spesso. Mi trattengo dal guardarla, ancora una volta.

Vorrei evitare di focalizzarmi sui piccoli dettagli del suo viso regalati dalla contentezza.

 "Sono speciale e differente dagli altri, per questo non riesci ad evitarmi."

"Io non riesco a liberarmi di te, è diverso."

"Oh, piccola!" Usa un finto tono compassionevole. "Non ti ho mica obbligata, questa sera."

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