Non tirare troppo la corda, ragazzina

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Giorno 12
Come due vecchie zitelle il venerdì, se nessuna delle due è impegnata, io e Irene amiamo dedicarci alla "serata cinema": pigiamone, pop corn e film senza trama.
Stasera stiamo guardando uno stupido film strappalacrime e, visto che la sottoscritta ha dimenticato i pop corn, ci dividiamo una vaschetta di gelato.
E non la chiamerei proprio "divisione equa" ma  più una contesa a colpi di cucchiaino e l'ultima volta che il mio ha provato ad avvicinarsi al gelato è stato prontamente colpito dal nemico.
Mi fa ancora male la mano, penso, mentre Irene mi guarda minacciosa.
Mai mettersi tra Irene e un vaschetta di gelato.
Riconcentro la mia attenzione sul film e cerco la posizione più comoda sul nostro divano.
Il protagonista sta per esibirsi in una tenera, quanto mai improbabile, dichiarazione d'amore quando il suono del citofono copre tutte le sue dolci parole.
"Chi sarà a quest'ora?" chiede la mia amica mentre entrambe saltiamo giù dal divano.
Guardo l'orologio della tv che segna le 22:30 e raggiungo il citofono.
"Chi vuoi che sia? Sarà il vicino che ha dimenticato le chiavi"
"Mmm" annuisce mentre continua a mangiarsi il gelato.
"Chi è?"
"Sono Leonardo"
Al suo suono deciso della sua voce mi cade il citofono dalle mani.
Un'imprecazione molto poco femminile esce dalla mia bocca.
"Emma ti stai perdendo la parte migliore, vieni" mi urla dal divano Irene.
"È Leonardo"
"Chi?" adesso anche lei ha smesso di guardare il film per concentrare tutta l'attenzione su di me.
Arriva al mio fianco ed entrambe osserviamo sospette il citofono.
Mentre quello suona ancora, insistente e prepotente come solo Leonardo può essere, guardo il mio pigiama e l'unica cosa che vorrei fare è urlare.
"Sono in uno stato pietoso"
Gli occhi scuri di Irene mi esaminano attenti:
"Non sei poi così male" io mi volto verso di lei come a sfidarla a dire la verità: "Ok... Sei in uno stato pietoso ma non hai molto tempo" e indicando il citofono: "Il tuo avvocato sembra pronto a buttare giù la porta"
"Che devo fare?" le chiedo in preda al panico.
"Io gli risponderei" è la risposta ovvia che mi dà lei. E in fondo non ha poi così tanto torto, se continua così una bella denuncia per schiamazzi notturni non gliela toglie nessuno al "mio avvocato" come lo chiama lei.
"Smetti di torturare il citofono, sto scendendo" e finalmente il trillo del campanello si zittisce.
"No, fallo salire. Ti prego non vedo l'ora di conoscerlo" quasi mi scongiura la mia amica. Afferro svelta la mia giacca e nego con la testa.
"Tu e Leo nella stessa stanza? Ma neanche morta" le dico sulla porta: "Chissà quante storie gli racconteresti"
"Sì" con gli occhi che le brillano: "Potrei raccontargli di quella volta..."
Non le lascio nemmeno finire la frase e chiudo con forza la porta dietro di me.
Promemoria per me: mai fare incontrare Irene agli uomini con cui esco. Sa troppe cose.
Scendo veloce le scale del palazzo e in pochi minuti mi ritrovo davanti a lui.
Il suo aspetto è stropicciato, è in maniche di camicia e i suoi capelli sono tutti in disordine.
Riesco quasi a immaginarmelo che passeggia qui sotto mentre di passa nervoso le mani tra i capelli.
"Ciao" mi saluta e ho come l'impressione che i suoi occhi si siano illuminati.
"Ciao" ricambio io ma mi tengo lontana da lui e mi stringo nella mia giacca.
Non ho ancora dimenticato il modo in cui ci siano lasciati oggi pomeriggio.
Il mio distacco sembra scalfire un po' la sua sicurezza poi, come riprendendo coraggio, mi si avvicina:
"Ho portato una cosa per farmi scusare"
Lui che si scusa? Sarà forse la prima e ultima  volta che assisterò a questa scena quindi voglio proprio godermela fino alla fine.
"Stai pensando di chiedermi perdono in ginocchio?"
Il suo classico sorriso impertinente abbaglia tutte le mie sinapsi.
"Non tirare troppo la corda, ragazzina" e, ancora un po' offesa, cerco di trattenermi dal ridere della sua battuta.
"Hai detto che mi hai portato qualcosa?"
"Sì" risponde mentre tira fuori dalla macchina un pacchetto con un grosso fiocco : "Ecco questo è per te"
Guardo lui, il sorriso che risplende al buio e il suo dono di pace.
"È... È un cactus?" chiedo dubbiosa e divertita.
Un sospiro pesante scuote le sue spalle e le sue mani vanno di nuovo a toccare i capelli.
"È tutta colpa del mio capo" il suo tono triste e sconsolato è il tocco da maestro.
"Davvero?"
"Ti ho già parlato di lui? È un vero tiranno"
Mi copro le labbra con le mani. Non devo ridere. Non. Devo. Ridere.
"Sì, ho presente il tipo. Anche il mio capo lo è"
Inarca le sopracciglia e mi si avvicina ancora di più. Spavaldo nonostante il piccolo cactus che si intromette tra di noi.
"Che strana coincidenza" risponde complice: "Io volevo comprarti delle rosse, magari rosse, ma quando sono arrivato il fioraio stava già chiudendo. Era rimasto solo questa specie di piantina verde"
E così tenero con la pianta in mano mentre ironizza su sé stesso.
"Non so se posso accettarlo"
"Cosa? Il cactus o le mie scuse?"
Alzo lo sguardo e mi perdo nei suoi profondi occhi blu.
"Forse entrambe" poi prendo il cactus dalle sue mani e guardo i piccoli fiorellini che lo decorano: "Forse prendo lui e ti lascio qui da solo"
"Siamo un pacchetto unico" risponde pronto: "se vuoi il cactus devi prendere anche me"
"È un ricatto?"
"Preferirei chiamarlo un doppio regalo"
Fingo di pensaci mentre i nostri respiri sono sempre più vicini.
"Va bene... Vi prendo tutti e due, ma solo perché voglio la pianta"
Un sorriso soddisfatto gli illumina il volto quando le sue labbra si posano finalmente sulle mie.
Quanto mi sono mancati i suoi baci, le sue mani forti che frugano sotto la mia giacca e i riccioli neri che mi solleticano il naso.
Le sue labbra si impossessano feroci delle mie, bramose e calde fino a lasciarmi senza fiato.
Come due adolescenti, ci baciamo sotto il portone di casa, con una fioca luce gialla a illuminarci e il rumore delle auto che scorre attorno a noi.
"Santo cactus" dice e il nostro bacio è interrotto dalle risate poi accarezza piano il mio viso: "Scusami, oggi pomeriggio sono stato un po' brusco"
"Un po'" rispondo con la voce attutita dalla sua camicia.
"Mi puoi perdonare?" chiede sfiorandomi il mento e obbligandomi a guardarlo negli occhi.
"Ti ho perdonato appena hai suonato il campanello"
"Allora perché mi hai fatto penare così tanto?" è la sua risposta quasi scandalizzata.
"Mi piaceva vederti soffrire"
Le sue braccia muscolose stringono la presa su di me e le nostre labbra sono di nuovo unite.
"Dice che fiorirà anche se non gli dai molta attenzione" afferma guardando alternativamente me e il suo dono.
"Gli darò tutte le attenzioni che vorrà" e improvvisamente sembra che non stiamo più parlando del cactus ma di noi.
Arrossendo faccio un passo indietro e apro il portone dietro le mie spalle.
"Allora... Grazie per il pensiero" dico giocando con i miei capelli e sfuggendo al suo sguardo.
"È stato un piacere" e la sua risposta roca è come un balsamo per le mie ferite.
"E buonanotte"
Un sospiro di frustrazione aleggia tra di noi e io non so più chi dei due lo abbia emesso.
"Notte, Emma" lo guardo avvicinarsi a passi svelti alla macchina quando poi si gira di nuovo verso di me e mi lancia un sorriso ammiccante: "comunque molto bello il tuo pigiama"
Dio... Perché sono scesa con questo stupido piumone addosso?

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