Ascensore bollente

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Giorno 13

Perché non riesco mai a svegliarmi presto la mattina? E soprattutto perché la mia sveglia ha un suono così basso? 
Conoscendomi avrei dovuto comprarne una con secchiata di acqua fredda incorporata.
Corro lungo il grande atrio del palazzo, per quanto i miei tacchi mi permettano, e riesco a infilarmi tra le porte dell'ascensore prima che questo parta senza di me.
Mi intrufolo tra lamentele e spallate e cerco di aggiustarmi i capelli.
Maledizione, penso quando mi guardo allo specchio dell'ascensore e mi aggiusto la gonna, sembro appena alzata dal letto.
Forse perché sei appena alzata dal letto, urla forte la mia coscienza, ma io la metto a tacere. Mi basterà un caffé, un filo di trucco e la mattina si aggiusterà.
“Emma”
Al suono della sua voce mi irrigidisco, chiudo gli occhi e me la prendo con il destino.
Con tutte le persone che potevo incontrare in un ascensore affollato stamattina perché proprio lui?
Perché proprio Leonardo?
Mi volto e in fondo all'ascensore, dietro voluminose giacche eleganti, lo vedo.
Dal suo sorriso impertinente capisco che si è goduto tutta la scena.
“Leonardo” lo saluto facendogli un cenno con il capo e i battiti del mio cuore risuonano sempre più forti nelle mie orecchie.
E mentre cerco di autoconvincermi che queste palpitazioni siano dovute alla corsa appena fatta e non ai suoi occhi blu, così profondi e irresistibili, lui mi invita a raggiungerlo.
Non so perché ma quel sorriso che gli illumina il volto e increspa le rughe agli angoli della sua bocca non mi convince per niente.
Sgrano gli occhi e mi mordicchio nervosa le labbra.
E' possibile parlarsi senza che tra di noi scorrano parole? Mi chiedo sfuggendo al suo sguardo attento.
Perché anche adesso, mentre l'ascensore viaggia piano sotto i miei piedi e degli sconosciuti stanno consumando la nostra stessa aria, sembra che gli unici a esistere siamo solo io e lui?
Il resto è solo sfondo. Solo rumore di fondo. Solo comparse dello spettacolo.
Spettacolo in cui lui è il protagonista pieno di fascino e con il destino già scritto... E io?
Io chi sono?
Quasi senza accorgermene, in un battito di ciglia, come se delle strane forze d'attrazione si divertano a giocare con noi, mi ritrovo al suo fianco.
Nello spazio ristretto dell'ascensore posso sentire il suo respiro che sfiora piano la mia fronte e il suo braccio muscoloso che si fonde al mio.
Chiudo gli occhi e mi stringo al mio cappotto. Mi stringo a lui. Al suo calore.
Più l'ascensore si svuota, più io e lui ci avviciniamo. Più cerchiamo il contatto.
Un brivido di desiderio increspa la mia pelle e, come una piccola concessione alla mia autostima, sento che lui ha il fiato corto.
Riapro gli occhi e mi guardo attorno.
Oltre noi ci sono circa una decina di persone e sembrano tutti presi dai loro cellulari e, mentre mi mordo le labbra per reprime un gemito, mi ritrovo a sperare che non sentano tutta l'elettricità che scorre tra di noi, che non sentano il mio respiro affrettato e i movimenti lenti di Leonardo che continuano a distrarmi e a lasciarmi senza fiato.
Guardo la pulsantiera dell'ascensore e vedo che mancano solo tre piani alla mia salvezza.
Solo tre piani, mi ripeto come un mantra.
Solo trenta secondi.
Posso resistere un altro mezzo minuto. 
Posso farcela.
Ma Leonardo, come leggendo nella mia mente, sembra deciso a spezzare ogni mia resistenza.
E quando sento la sua mano salire lungo la mia schiena sussulto in preda all'emozione.
Un suono forte e chiaro che scorre tra di noi.
Il suono della mia resa.
Il mio corpo, che si avvicina sempre di più alla sua mano, sembra urlare: finalmente.
Il suo tocco è possessivo e sicuro. Come se il mio corpo gli appartenesse.
Come se mi conoscesse da sempre.
Adesso siamo solo noi a viaggiare dentro questo ascensore della perdizione e ho già la certezza che ogni volta che metterò piede qui dentro ricorderò ogni tocco, ogni emozione e ogni respiro rubato tra di noi.
“Era da molto che non mi godevo il mio bonus” è la sua risposta che fa vibrare anche la più piccola parte del mio essere e il sorriso impertinente si posa di nuovo sul suo volto.
Poi il campanello dell'ascensore mi risveglia dal mio sogno a occhi aperti e mi ritrovo nell'ingresso dello studio.
Con il respiro affrettato e le guance paonazze.
“Un bravo avvocato non arrossisce mai” dice, soddisfatto e sfacciato, mentre accarezza piano la pelle accaddalta della mia guancia: “ma adoro quando lo fai tu”

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