Capitolo uno

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CAPITOLO UNO

Serata di mezza estate.

Il caldo asfissiante stava facendo uscire dal mio corpo tutta quella poca acqua che ero riuscita a bere durante quell'ennesima giornata di frettoloso lavoro. Era un calvario.

Ricordo che ho sempre odiato l'estate; la stagione in cui ci si veste poco, e le strade si fanno infuocate, così come l'aria rovente trasportata dalle alte pressioni africane.

Ma l'estate, purtroppo, era anche la stagione in cui litigavo di più con il mio ragazzo.

Rientrai a casa come ogni sera alle ventuno, stanca morta, e, nonostante l'utilizzo abbondante di deodoranti e profumi vari, anche sudicia e bisognosa di una doccia.

Non appena varcai la soglia dell'appartamento che condividevo con il mio fidanzato, con il quale ormai convivevo da due anni abbondanti, mi affrettai a richiudere a chiave la porta d'ingresso e ad abbandonare la mia borsa su una delle sedie che parevano accogliermi ogni volta che varcavo la spoglia soglia.

Il nostro era un appartamentino in zona periferica dotato di tre stanze, pure piccole. Solo l'essenziale, per noi; quello che ci potevamo permettere in modo indipendente.

Mi diressi prontamente verso il piccolo bagno, sospirando e credendo di essere sola.

Eppure, mentre mi accingevo a svestirmi in un attimo, la sua sagoma, distesa comodamente sul nostro letto, attirò con prontezza la mia attenzione, e mi fece sussultare.

"Marco!", mi venne spontaneo chiamarlo, quasi sbottando il suo nome. Il corpo sdraiato ebbe una reazione istantanea e si alzò a sedere sul letto.

Il mio moroso si stava riprendendo solo in quel momento da quello che probabilmente era stato un lungo pomeriggio come tantissimi altri, fatto di ozio e di noia, mentre le sue candide mani accorrevano a stropicciarsi gli occhi, con scarsa flemma.

"Amore! Sei già tornata a casa?", mi chiese infatti, dopo un istante di silenzio, compensato solo dai suoi movimenti.

Sospirai di nuovo ed abbandonai la mia prima intenzione, ovvero quella di fare una doccia il prima possibile, per affacciarmi dovutamente sulla porta della camera da letto.

"Potrei fare la stessa domanda a te", gli feci notare, senza troppi tentennamenti.

Marco, ultimamente, si stava concedendo troppo a un peccato che, per noi due e la nostra vita di coppia, poteva essere considerato capitale. La pigrizia.

Da quando avevamo cominciato a convivere, aveva promesso di far di tutto pur di rimboccarsi le maniche e darsi da fare per donare un futuro migliore al nostro amore fresco e appena sbocciato, eppure si era rivelato sempre piuttosto fallimentare, sotto questo punto di vista.

Era infatti riuscito a trovare solo impieghi part-time che aveva ricoperto per qualche breve periodo, per essere poi prontamente licenziato senza pietà. Per questo doveva essere quotidianamente in prima linea nella ricerca disperata di un lavoro, siccome non importava tanto quale esso fosse, ma solo la retribuzione. Per pagare l'affitto, per mangiare... e l'ultimo posto di lavoro, come magazziniere, l'aveva perso due mesi prima. Troppi, per una giovane coppia con problemi economici come lo eravamo noi.

In effetti, non appena la mia affermazione giunse a segno, il mio ragazzo si impresse sul volto un'aria sdegnata e tornò a sdraiarsi sul nostro letto a due piazze, rigorosamente sfatto dopo una giornata che, probabilmente, era stata d'ozio.

"Sai che a me non va bene nulla, ultimamente", si limitò a dirmi, con scioltezza e semplicità, richiudendosi a riccio come faceva ogni volta che gli era illustrato il nostro problema più opprimente, e cioè il bisogno di lavoro e di denaro, per favorire una nostra sopravvivenza dignitosa.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora