Me ne rimasi seduta a lungo sullo scalino d'ingresso di fronte alla porta di casa di mia madre, immersa tra lacrime e riflessione.
Tra le mani ancora stringevo la mia scarpetta col tacco che mi ero messa per quella serata, e che dopo la precipitosa fuga dal maniaco non avevo più trovato la forza per indossarla di nuovo; mi sentivo una sorta di Cenerentola, solo che per me non c'era stato alcun lieto fine, e nessun principe azzurro.
Più il tempo passava, più il mondo attorno a me diventava silenzioso, ma io non mi accorgevo distintamente dello scorrere dei minuti e delle ore, essendo come assorta nella disgrazia in cui ero caduta, tradita dalla mia migliore amica, che mi aveva persino dato in pasto a un orco, in una sorta di macabro circo, e da mia madre, che neppure si era preoccupata per me.
La luce della cucina si spense attorno alle ventitré, e non si degnò neppure di provare a farmi uno squillo nel cellulare, siccome tardavo a rientrare. Non mi aveva a cuore nessuno, in realtà, e questo pensiero era come un pugnale che con la sua lama sottile e affilata, alla stessa maniera di un bisturi chirurgico, entrava a far a fette il mio cuore già a pezzi.
Non avevo più possibilità di rialzarmi e di riscattarmi, a mio avviso, e non riuscivo a smettere di pensare in quale guaio mi avesse cacciato la mia amica. Addirittura, mi aveva concesso su un piatto d'oro a un maniaco.
Ecco, quel pensiero mi rigettava nell'abisso, mi faceva impazzire, e ogni volta che mi sfiorava la coscienza, e cioè ogni tre minuti, a dir tanto, mi sentivo avvampare in volto. Cercavo così di nascondere il mio viso dal mondo e dalla marea di pericoli e di dolore che racchiudeva nella sua atmosfera.
Il cielo stesso, stellato poiché abbastanza lontano dalle fonti più forti di luminosità, mi sembrava un grande carcere, e quelle stelle solo delle futili guardiane che se ne stavano lassù, a guardare il genere umano che infieriva sui propri fratelli e sulla vita che lo circondava, immobili come se non gliene potesse fregare nulla di quel che accadeva, intente a vigilare solo l'immunità del restante e infinito universo. Per il resto, che la Terra fosse pure la casa di abomini e ingiustizie.
"Dio, aiutami Tu a rialzarmi", sussurrai, provando un brivido.
Non ero credente, anzi, avevo snobbato così tanto la Chiesa e il suo Ordine che non ricordavo più nemmeno un frammento di una delle più semplici e basilari preghiere, quelle che ogni sabato ancora impartivano durante l'appuntamento settimanale col catechista. Ma ero così distrutta dentro che mi era venuto naturale invocare la più grande potenza superiore che potesse anche solo strizzarmi metaforicamente un occhio. Sentivo che qualcosa o qualcuno mi doveva qualcosa, e che la vita stessa fosse un minimo in debito con me, dopo tutti gli eventi recenti.
In virtù di codesto pensiero, e sentendomi sola che più sola di così non potevo essere, cominciai a fare una rassegna mentale delle poche persone che mi erano vicine, e scoprii che non avevo neppure una spalla amica su cui piangere... il massimo del macabro.
Avrei tanto voluto potermi ancora fidare di qualcuno, e almeno Irene avrebbe potuto fermarsi un attimo per sincerarsi meglio di quel che mi frullava per la mente, e magari per scusarsi ulteriormente, ma anche in quel caso scartai l'insulso pensiero, siccome avrebbe solo finito per infastidirmi ancora di più, sul momento. Meglio che fosse finita così, tra me e lei, almeno per quella serata catastrofica.
E poi... poi, un pensiero di quelli folli mi baluginò all'interno delle mie provate meningi, e mi sentii finalmente meglio, come se un calore di dimensioni epiche avesse cominciato a riscaldare il mio cuore, a tornare a renderlo vigile.
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Il Principe Azzurro arrivò a Mezzanotte
RomantikIsabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita. Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza. Quello che non sa è che, a volte...