Capitolo dodici

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Non ebbi problemi a rincasare.

Seguii Piergiorgio per buona parte del percorso iniziale, e il suo inconfondibile fuoristrada, poi non appena ritrovai l'orientamento feci da me e lasciai che proseguisse verso la sua meta, preferendo seguire strade secondarie. Avrei avuto più modo di stare tranquilla e di riflettere, al di fuori del caos delle strade principali molto trafficate a quell'ora.

Giunsi quindi a casa senza difficoltà, ma il dolore mi colse di nuovo non appena parcheggiai. La casa di mia madre, per l'appunto, mi ricordava mia madre, e sapendo che lei era una delle pochissime persone che mi volevano bene a quel mondo, se non l'unica che mi volesse bene veramente, mi venne di nuovo da piangere, ripensando a quello che le era accaduto. Ma sapevo pure che dovevo essere fiduciosa e forte, e che entro qualche giorno sarebbe tornata a riprendere possesso di quello spazio suo.

Rincasai con la mente molto turbata, ma non feci neppure in tempo a varcare totalmente la soglia che fui investita da un profumo pungente e gradevole; quello delle rose che qualcuno mi aveva fatto recapitare la sera prima, e che con tutto il trambusto delle ultime ore avevo totalmente dimenticato.

Subito, tornarono a frullarmi per la testa tantissimi dubbi, soprattutto a riguardo di chi avesse mai avuto in testa l'idea di farmi un dono del genere. Un vero galantuomo, uno di quelli che, tra i ragazzi che avevo frequentato fino a qualche giorno prima, di certo non c'era.

Appoggiai la mia borsa in cucina, e, come attratta dal magnetismo di quel regalo inatteso, ne approfittai per avvicinarmi al mazzo di fiori, ancora ben tenuto a mollo col gambo in acqua, e avvicinai una rosa bianca alle narici.

Un profumo stupendo mi pervase dalla testa ai piedi; chiunque mi avesse mandato tali bellezze profumate, doveva essere molto esperto di fiori e piante, e conoscerne opportunamente i rispettivi odori, e forse addirittura anche i messaggi che potevano trasmettere, come aveva supposto anche mia madre.

Scossi il capo, leggermente, lasciandomi sfuggire un malinconico sorriso, e raccattai il fogliettino dove c'era scritto il mio nome.

Lo strinsi forte tra le mani, osservando quella piccola opera d'arte. Poi, mi decisi ad andare a farmi una doccia, per poi provare a riposare un po', siccome quella turbolenta nottata mi aveva lasciato davvero molto sbattuta, e per mezzogiorno dovevo essere perfettamente in forma, sapendo che mi aspettava un pomeriggio di movimento senza sosta. Altroché palestra.

Mentre mi accingevo a salire al piano superiore, però, squillò il campanello.

Non avendo idea di chi potesse trattarsi, mi mossi a ritroso quasi con circospezione, e aprii per uno spiraglio la porta d'ingresso.

"Sono io, Isabella", disse al di là dell'uscio una voce ben nota, e allora spalancai la porta e mi ritrovai di fronte Piergiorgio.

"Sono venuto a vedere se era andato tutto bene, e se era tutto a posto...", mi disse, impacciatamente, allargando le sue manine all'altezza del petto.

Gli sorrisi.

"Tutto ok, come può vedere. L'ho seguita, fino ad un certo punto, e non ci sono stati problemi. Ora conosco perfettamente la strada", lo rassicurai.

"Meglio così", mi disse, giusto per dire qualcosa, e continuando a restarsene impalato di fronte a me.

"Certo che lei è davvero molto, molto gentile. Si preoccupa troppo per il prossimo", mi venne spontaneo dirgli, così su due piedi e senza riflettere.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora