Capitolo tredici

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Tornando a casa, tra me e Piergiorgio non ci fu un gran dialogo, o almeno non inizialmente.

Qualche fugace sguardo, ogni tanto.

Io avevo la testa tutta catapultata verso mia madre, verso i suoi problemi, verso il suo rifiuto di avermi a fianco... quel rifiuto che mi stava facendo sentire come una bambina, e un po' mi faceva vergognare. Non la mandavo giù, anche se capivo, in fondo, le sue motivazioni.

"Ti va se ci fermiamo a mettere qualcosa sotto i denti?", chiese all'improvviso il guidatore, distraendomi dai miei pensieri e dal mondo vorticante che mi circondava al di là del finestrino, mentre la penombra della sera avvolgeva il nostro percorso.

"No, no, davvero. La ringrazio, ma penso sia meglio tornare a casa", gli dissi, candidamente. Forse in modo un po' troppo irruento e scostante, anche per via del mio stato d'animo tignoso che in quel momento mi rendeva poco lucida.

Piergiorgio infatti ammutolì tutto d'un colpo e non disse altro.

Lo guardai per un attimo e scorsi sul suo viso rotondo una sorta di dolore latente, che voleva nascondere. Non volevo averlo ferito con la mia risposta molto brusca.

Fu la mia volta di lasciarmi sfuggire un profondo sospiro, di quelli che mi aiutavano a riflettere per un attimo e a raccogliere le idee utili a chiarirmi.

"Signor Piergiorgio, mi deve perdonare. Sul serio. Sono molto tesa e stanca, e non ragiono bene. Chiedo scusa se lei se l'è presa, ma non volevo offenderla o rifiutare con cattiveria il suo invito, che davvero, mi lusinga. Ma mi sento ancora in debito con lei per tutto quello che ha fatto in queste ultime ore, e poi so che tra non molto deve andare al lavoro, e non voglio assolutamente essere un peso", aggiunsi, piano, a voce bassa.

Mi sentii avvampare un po' in viso, come se avessi fatto una confessione pesante, di quelle da tenere per sé stessi. In realtà, avevo solo detto la verità e mi ero concentrata per aprirmi.

Piergiorgio, udendo quelle parole, fece per allungare una mano verso di me, gentilmente, poi l'abbassò all'improvviso e la posizionò sul cambio.

"Tu non sei mai un peso. Mai. E non devi preoccuparti per me... mai", mi disse, e mi rivolse un'occhiatina sfuggevole ma divertita, prima di tornare a inchiodare lo sguardo sulla strada.

"E allora, questa cena... che ne dici?", tornò a stuzzicarmi, prima che potessi dire qualcosa.

Se non fosse stato quell'uomo che avevo di fronte, avrei subito pensato, a quel punto, che ci stesse provando con me. Ma io vedevo Piergiorgio felicemente sposato, con figli grandi e nipotini in arrivo, una sorta d'uomo tutta famiglia, e di fronte a quelle proposte non sapevo cosa dire, e mi trovavo in imbarazzo. Per quello scelsi di continuare a declinare l'invito, seppur con immensa gentilezza e delicatezza.

"Un'altra volta, magari. Sa, mi si è chiuso proprio lo stomaco, al solo pensare al cibo mi viene da star male", gli propinai, e dargliela da bere fu semplice, siccome ancora non mi distanziavo troppo dalla realtà dei fatti.

Udendo la mia voce provata, il mio interlocutore parve non avere alcun dubbio sulla veridicità della mia scusa.

"Capisco".

Lasciai che il discorso decadesse, mentre il fuoristrada verde divorava chilometri su chilometri e la mia casetta era sempre più vicina.

Mi rasserenai, almeno fin tanto che il guidatore a mio fianco non imbucò un tratto di strada a me ignota, abbandonando il rettilineo che avremmo dovuto seguire. Quell'azione mi colse di sorpresa, e sobbalzai e cominciai a pensarne di ogni, mentre Piergiorgio continuava a guidare come se nulla di strano fosse accaduto.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora