Capitolo ventiquattro

55 6 43
                                    








Tornare a casa, per me, quella sera era il più grande trauma della vita.

Il vero problema era che, se ci pensavo, una casa mia non l'avevo neppure. Se facevo due più due, mi ritrovavo ad avere un risultato nullo, e non numerico. Per questo la mia vita stava andando in scatafascio.

La mia unica illusione era stata che, fintanto che ero stata accondiscendente con Marco, tutto sembrava filar più che liscio, con tanti amici, una vita sociale attiva, un piccolo appartamento che finanziavo col mio stipendio e un gran figo come compagno. Poi, c'era stato l'inizio del mio medioevo.

Restava vero che, stando anche alla Storia vera, dopo una parentesi di età di mezzo, buia, logora e abusata, venne il Rinascimento; una fase di rinascita che, in quel delicato momento della mia esistenza, trovavo solo quando ero avvinghiata a George.

Tra me e il resto del mondo c'era stata una grande frattura, e ciò che mi era rimasto era il lavoro, che provavo a tirare avanti alacremente, e mia madre, con la quale non tutto andava per il meglio, e con cui dovevo assolutamente parlare, per cercare di fare un po' di chiarezza tra noi. Ah, c'era anche Irene, ma quella non si faceva sentire per giorni interi, e comunque dopo ciò che mi era accaduto durante le sue uscite combinate non avevo più voglia di svolgere il ruolo di sua burattina personale.

Eppure, se pensavo a Piergiorgio... anche quella sera, mentre guidavo per tornare a casa, la mia mente correva solo verso di lui. Speravo in una sua chiamata, almeno... almeno quella.

Mi mancava già la sua voce, ed ero avida dei frammenti di ricordi che mi frullavano per la mente in quel momento, e mi chiedevo cosa stesse facendo, con chi si trovasse, e tutte le solite domande di rito che si ponevano tutti gli innamorati.

La realtà era che non trovavo risposte ai miei interrogativi, anche inutili tra l'altro. Essi almeno lasciavano che la mia povera testolina si rilassasse, poiché mentre lo pensavo mi appariva un mezzo sorriso soddisfatto sulle labbra, un cenno di felicità involontario che mostrava di per sé quello che il mio cuore provava. In ogni caso, avevo bisogno di risentirlo, di far sì che la sua voce tornasse a fluire, in qualche modo, nelle mie orecchie, e a passarmi la forza necessaria per riuscire a far chiarezza con mia madre.

Non volevo più che tra noi ci fossero incomprensioni, anche minime; eravamo arrivate a un punto in cui ognuna di noi due poteva fare e disfare ciò che voleva, e lei era anche malata, non stava bene.

Mi sentivo, quindi, quella nella posizione più favorevole di noi due, e se per qualche istante mi immaginavo la sua vita svolta tra quelle quattro mura di casa sua, tutto il giorno e senza interagire con nessuno, mi veniva davvero da vergognarmi. Dovevo essere io quella più apprensiva, e smettere di voler nascondere le evidenze in continuazione, come certe signore facevano con la polvere, gettandola al di sotto del tappeto del salotto e fregandosene che un giorno, a furia di accumularne, il problema non solo non si sarebbe risolto, ma si sarebbe acuito.

Prima che per noi due fosse troppo tardi, volevo assolutamente recuperare il tempo perduto nelle ultime settimane, e mettere una mezza pezza, con un pizzico di sincerità, alle nostre ultime discussioni.

Era che poi quella mattina me n'ero andata di casa come una belva ferita, rispondendo anche male, quindi mi sentivo proprio in dovere morale di riscattarmi.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora