Capitolo due

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Ventitré e trenta.

Finalmente giunsi a casa di mia madre, trafelata. Non stetti a bussare alla porta; le chiavi le avevo, e per non spaventare la mia buona genitrice, feci tutto da me, cercando di restare in silenzio.

Ma mia madre non stava affatto riposando, come speravo.

Non feci in tempo a far scattare la serratura che me la ritrovai proprio di fronte, spaventata, e appena mi vide, si mise le mani sul volto sempre più incline alle rughe.

"Oh, bambina mia! Mi sono chiesta chi era, temevo che ci fosse un malintenzionato che stesse pastrocchiando nella serratura", mi disse subito, con la voce ancora tremolante per il recente piccolo spavento, mostrandomi anche il cellulare con teneva stretto in mano, con il numero 112 già digitato sul display.

"Mamma! Ma chi vuoi che sia...", le dissi, amabilmente, e le donai un piccolo abbraccio.

Solo in quel momento parve ritornare in sé e comprendere ciò che aveva di fronte.

"Ma sai che ore sono?!", mi sbottò in faccia, liberandosi dalla mia stretta lieve e lanciandomi un'occhiatina scioccata, come se mi credesse impazzita.

Le sorrisi, con le gote ancora in fiamme per il pianto recente.

"Lo so. Posso entrare, ora?". E spinsi in casa la mia valigia, chiudendo la porta d'ingresso alle mie spalle.

"Che... cos'è successo?", tornò a chiedermi, preoccupandosi, dopo aver notato che avevo con me anche il mio bagaglio. La piccola paura di poco prima lasciava spazio allo sbigottimento.

"Io e Marco abbiamo scelto di prenderci una pausa di riflessione", le ammisi subito, a malincuore.

Solo in quel momento mi accorgevo di quanto fossi stata avventata, e forse avevo esagerato, ma proprio tanto. Mi dispiaceva, ma quella mia scelta repentina per me rappresentava una punizione rivolta alla sua disdicevole pigrizia, che stava cominciando a stancarmi, logorando così il nostro rapporto di coppia, sempre meno idilliaco.

"Una pausa di riflessione" mi fece eco la mamma, con un tono di voce senza sfumature. Rassegnato, rattristito in un attimo, abbattuto da un fulmine a ciel sereno.

Mia madre, una cinquantottenne sveglia e ancora fisicamente in forma, conosceva bene il rapporto che c'era tra me e Marco, e soprattutto il suo vizio di voler sempre ed egoisticamente far lavorare me. Essendo quindi consapevole delle piccole crepe che recentemente si erano andate formando tra me e il mio convivente, chissà cosa stava già pensando in quei concitati istanti, ritrovandomi a notte fonda a bussare alla sua porta, con tanto di valigia in mano.

"Non pensare male. Io amo ancora Marco, e questa è solo una piccolissima pausa del nostro rapporto, altrimenti non credo che, senza essere spronato senza mezzi termini, si metta d'impegno a migliorare il suo carattere e ad abbandonare la sua pigrizia", la rassicurai prontamente, infatti.

Avevo sempre vissuto con la mamma e sapevo che per lei non c'erano problemi se tornavo momentaneamente a casa sua, d'altronde la mia stanza era ancora a mia completa disposizione, ma non volevo assolutamente che pensasse subito male, per via delle mie recenti azioni.

"Per un attimo ho pensato che ti fossi stancata di quel bamboccio...", sospirò lei, di rimando e alle mie spalle, mentre mi accingevo a trascinare la mia valigia su per le scale, verso la mia vecchia cameretta, pronta ad ospitarmi.

Mi volsi verso di lei e la fulminai con uno dei miei famosi sguardi gelidi.

Purtroppo, sapevo anche che la mamma non approvava la mia relazione con il mio ragazzo. Per lei era sempre stato un bel busto, certo, ma nulla di più, niente che andasse oltre alla tartaruga sul ventre scolpito dai muscoli e un fisico, nel complesso, da modello.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora