Capitolo ventotto

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Piergiorgio come al solito fu puntualissimo, talmente tanto da poter dire che aveva spaccato il secondo.

L'orologio a cucù della saletta suonava piano, emettendo i suoi rintocchi, che venivano soffocati dalla porta chiusa, in modo che il rumore emesso non si propagasse per tutta casa durante la notte e le ore di riposo, e non desse in alcun modo fastidio.

Mi affrettai ad andare ad aprirlo; in realtà, avevo già preparato tutto da un po' di tempo, poiché per fortuna mia madre alle ventuno si era già ritirata in camera, ed allora avevo avuto modo per sistemarmi a dovere, così da non dover poi rischiare nulla in seguito.

Quando udii il rumore inconfondibile nella notte, prodotto dal fuoristrada di George, aprii piano la porta d'ingresso.

Lo accolsi quindi tacitamente, dopo che lui aveva lasciato la macchina un po' distante da casa di mia madre, in modo da non dare nell'occhio e da non rischiare di essere notata subito, o per caso.

George non disse nulla, si limitò a sorridermi.

Da parte mia, mi limitai ad afferrarlo con dolcezza per un braccio e a farlo entrare, per poi richiudere con attenzione la porta dietro di me.

Lo attrassi con prepotenza, lasciai che le mie labbra si appiccicassero alle sue, e che poi fosse la mia lingua a cercare la sua. Sentivo che dovevo farmi perdonare.

A luci spente, e procedendo pianissimo e a tentoni, muovendoci però in un ambiente che ormai conoscevamo entrambi, anche se lo tenevo per mano e lo aiutavo un minimo a procedere e a orientarsi nella giusta maniera, giungemmo a destinazione. Trattenni il fiato, di fronte alla porta di mia madre.

Ci riuscimmo, comunque.

"Dio mio", si lasciò andare il mio amante, una volta giunto in camera, "una di queste volte faccio un capitombolo giù dalle scale che passerà alla Storia".

"Sempre a ironizzare, eh", sussurrai, "sarà comunque meglio che tu non ne faccia, di capitomboli. Mi servi integro".

"Sono un essere umano alquanto inutile".

"Non direi", affermai, mentre cominciavo a svestirmi, già preda dei miasmi dell'amore. Se fino a qualche istante prima ero stata vittima dei miei pensieri ossessivi e delle paure per il mio immediato futuro, in quell'istante le pulsioni del mio corpo e i loro bisogni avevano ripreso il controllo di me stessa.

"Oh, calma, mio gentile amore. Non eri spaventata? Qualche ora fa, al telefono, stentavo a riconoscere la tua voce", mi disse, sempre pianissimo, però cominciando anche lui a togliersi i vestiti di dosso.

Si levò la leggera camicia che indossava, e restò a busto totalmente nudo, in piedi di fronte a me, ed io, lasciva come noi mai, ero distesa sul mio letto ormai costantemente sfatto, colmo dell'odore della sua pelle, a togliermi di dosso gli ultimi vestiti. Interruppi i movimenti rivolti a svestirmi solo per infilare sotto al letto le sue scarpe invadenti, che avevo portato di sopra a mano.

"Mi fa piacere che tu sia qui, mi dispiace solo per averti messo fretta. In ogni caso, ti chiedo scusa", gli dissi, sincera, sempre attenta però a tenere un tono di voce molto basso e controllato.

"Ti ho detto che è già un discorso chiuso. Piuttosto, andiamo al punto", disse con risolutezza.

"Proprio adesso?", mormorai, provocante, con i problemi che passavano in secondo piano. Era incredibile quanto la passione che mi ardeva dentro potesse accecarmi, fintanto che non la rendevo soddisfatta.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora