Capitolo trentaquattro

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La settimana passò in fretta.

Trascorse nella semplicità disarmante comune ad ogni esistenza abitudinaria, scorrendo con un continuo accavallarsi di situazioni che avevano sempre un qualcosa che, a mio avviso, pareva già vissuto. La verità era che la routine era qualcosa di nefasto e di triste, ma solo in quel momento, con il cuore in preda al più fervente amore, me ne stavo rendendo conto, e realizzavo che la vita è molto più dolce se cosparsa di un po' di passione.

Al lavoro andava tutto bene, per me, e a casa pure; mia madre se la cavava, e da quando aveva saputo che finalmente mi sarei sbilanciata in maniera irreparabile, a riguardo del mio compagno, era sempre stata al settimo cielo.

A un certo punto, la sua pura gioia finì per contaminarmi, e anche quando lavoravo ero serena e spensierata, ridevo con i miei colleghi e anche con gli avventori, mi sentivo piena di forze e grintosa. Questo aveva molti aspetti positivi che si riflettevano in ogni ambito della mia vita.

La signora Virginia era soddisfatta di me, ed era sempre dolcissima, con i colleghi e le colleghe tutto a posto, e a casa viveva una pace d'altri tempi, forse mai esistita fino a quei giorni; e poi, ogni volta che socchiudevo gli occhi, o che mi fermavo un attimo, a prendere il respiro... mi appariva lui, il mio George, con tutta la sua galanteria, la sua gratuita bontà, il suo modo di fare inebriante e dolce. Era diventato il nettare della mia esistenza.

Giunsi quasi in crisi d'astinenza alla serata in cui avremmo cenato assieme con mia madre, poiché dalla mattina in cui mi aveva portato in stazione, per recuperare la mia automobile, non eravamo riusciti più a stare assieme e a godere reciprocamente del nostro stare assieme.

C'eravamo solo sentiti per telefono, purtroppo, siccome lui era stato davvero molto impegnato, aveva avuto una settimana pienissima all'ospedale e aveva scelto di affrontare anche alcune intere nottate. Poverino, me lo immaginavo a pezzi, ed infatti gli chiedevo sempre come stava, ma il mio Piergiorgio era ancora energico come un ragazzino, quando si trattava di lavoro, ed infatti lo trovavo sempre vivace e ben disposto alla conversazione.

Mi faceva piacere tutto ciò, anche se mi dispiaceva che per diversi giorni non eravamo riusciti a ritagliarci qualche momento per noi. Ero comunque contentissima che continuasse ad offrire il suo sapere agli altri, per curarli e farli star bene.

Tuttavia, quella serata tanto attesa giunse in fretta, e non sapevo in realtà se esserne felicissima, oppure provare un senso di inquietudine. Non avevo idea di come avrebbe potuto reagire mia madre.

Lei si era impegnata tantissimo, da parte sua, e quando tornai a casa dal lavoro me la ritrovai immersa nei suoi capolavori culinari.

"Mamma, sai che non devi sforzarti... anzi, non dovevi fare tutto questo!", esclamai, un po' contrariata.

Eravamo rimaste d'accordo che avrei fatto arrivare tre pizze per le ventuno, orario concordato per la nostra cena, appunto per non farla sgobbare come non mai. Evidentemente, non mi aveva dato retta.

Infatti, appena udì che la stava rimproverando, emerse in tutta la sua altezza dal bel mezzo delle pietanze ormai pronte, e smosse il suo candido grembiule con gran stizza.

"E tu pretendevi che io stessi ad aspettare tre pizze? Vorresti che io liquidassi il tuo nuovo ragazzo con tre cosucce preparate da altri? Questo no, poi! Che figura da cialtrona ci avrei fatto? Ah, no, lascia fare a me, figlia mia", fu poi lei a rimproverarmi, tornando subito dopo al lavoro.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora