Capitolo nove

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Trascorsi delle ore molto concitate. Non riuscivo a levarmi di dosso i miei problemi, anche se ormai era tutto finito, e quella volta pareva per sempre.

Avevo raccontato l'evoluzione improvvisa della vicenda a mia madre, e poi anche a Irene, e non avevo neanche mangiato nulla. Non avevo pianto, ma finito il momento più concitato ero come collassata nel mio solito limbo d'inerzia, che mi travolgeva quando ero stanca e sfinita. Ed era solo metà giornata.

Non avevo idea di come avrei fatto a sopravvivere al resto del duro pomeriggio.

"Faccio uno squillo alla signora Virginia e l'avviso che non stai bene, così ti sostituisce", mi propose mia madre, calma, quando mi ritrovò distesa sul letto in quello stato di sfacelo totale che mi pietrificava. Immaginavo i miei occhi socchiusi, con tristezza e malinconia, e il mio viso arrossato riflesso in uno specchio.

Che misero spettacolo per chi mi stava guardando. Per fortuna che era la mamma.

"No, mi arrangio. Ci vado, è l'unico modo per distrarmi", le dissi, ma solo un attimo prima che provasse a telefonare.

Ero di sasso. E il lavoro era il mio unico escamotage che mi poteva permettere di essere assorbita in qualcosa che non fossero i miei inutili pensieri. Inutili davvero, siccome ormai era andato tutto all'aria, anche ogni forma di civile dibattito. E sentivo che, in fondo, era anche e soprattutto colpa mia.

Per non impazzire, me ne andai con qualche minuto d'anticipo da casa, e mi presentai giusto in tempo per recuperare i dieci minuti che avevo perso quella mattina; era giusto così, e anche se la signora Virginia aveva detto di non preoccuparmi, ero una ragazza molto ligia e rigida e non volevo assolutamente lasciare qualcosa in sospeso, o avere un minimo debito con qualcuno.

Quel giorno Piergiorgio era ancora lì nel locale, a mangiare molto lentamente una pizzetta margherita. Non ci feci caso, almeno fintanto che non rischiai di far cadere il vassoio con la bellezza di quattro tazzine ripiene di caffè. Avevo esagerato, come mio solito, ma il problema era che quel pomeriggio non riuscivo a ragionare.

Per fortuna, il simpatico signore riuscì a metterci una mano e a salvare il mio traballante carico.

"Grazie, mi ha salvato la vita", sospirai, sinceramente grata all'uomo che mi aveva appena evitato una figuraccia colossale, e qualche danno da pagare, senza contare il lavoro che avrei dovuto fare per ripulire il pavimento dal disastro che avrei potuto provocare.

Col groppo in gola dall'ansia, mi ripetei che dovevo stare più attenta. Molto più attenta.

"Di nulla", mi rassicurò il signore.

"Ti vedo molto distratta... va tutto bene?", tornò a chiedermi quando stavo per allontanarmi, con probabilmente un'espressione spaventata e turbata ben impressa sul viso.

"Sì... tutto bene".

Distribuii a singhiozzo le ordinazioni, ma non appena ebbi finito, vidi che Piergiorgio mi faceva cenno di tornare lì.

"Potresti portare un caffè anche a me, per favore?", mi chiese, quando giunsi alla sua portata.

"Certo".

Mi recai subito alla macchinetta, fiera di preparare l'ennesimo caffè. Era l'unica mansione che mi stava simpatica, tra tutto quell'inferno di azioni frenetiche.

"Non stare a metterlo nel conto, eh. Come sempre, offre la casa per lui", mi disse Virginia, mentre mi davo da fare. La rassicurai con un cenno del capo, e tornai a dirigermi verso il cliente, con tazzina e piattino in equilibrio.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora