Capitolo diciassette

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Come durante la precedente mattina, giunsi al lavoro un po' imbambolata e assonnata. Sembrava che avessi un po' perso il mio naturale equilibrio, da quando le mie avventure serali si erano fatte così intense.

Non ero mai stata abituata a stare fuori fino a tardi, e già le ventitré in genere cominciava a essere un orario attardato, e siccome da alcune sere non rincasavo prima di mezzanotte abbondantemente passata, era come se stessi cercando di farci il callo. Un callo che comunque sarebbe durato proprio poco; mi stavo preparando all'ultimo appuntamento e, in effetti, anche al peggio.

Pensavo seriamente che Irene avrebbe davvero cercato di mettermi alla prova, in quell'ultima serata che mi aveva regalato, e quindi non riuscivo a stare tranquilla.

Avevo il magone in gola, non avevo appetito e facevo fatica oramai a star dietro al ritmo della giornata lavorativa, e la mia spossatezza non passava inosservata, neppure alle mie curiose colleghe e alla mia datrice di lavoro, che almeno avevano però il buon gusto di non chiedermi nulla espressamente, certe che si trattasse di un filino di depressione sorta dopo la rottura con Marco, dramma che invece avevo già interiormente superato, forse con fin troppa fretta.

Quel ragazzo, in ogni caso, mi aveva stufato, e mi ero resa conto molto velocemente che, in realtà, la nostra storia era stata qualcosa che non mi aveva lasciato e trasmesso niente, come non mi avevano lasciato niente i miei ultimi incontri.

Avevo qualcosa dentro che mi logorava, che non mi lasciava in pace, e si trattava di una cosa non detta, ma che non volevo riconoscere e interiorizzare, quindi lasciavo semplicemente che non mi desse tregua, che mi lasciasse sfiancata e mezza assonnata, senza prendermi la briga di voler andare oltre. Era come se un oltre per me non ci fosse.

Stavo vivendo quasi alla giornata, e non m'importava granché del resto, ritenendo inutile pensare a un ipotetico futuro quando già il presente è un casino completo, e non credevo di averci capito molto.

Fortunatamente, sul posto di lavoro le altre si fecero tutte gli affari propri, e questo mi fece stare sulle mie, a ribollire nel mio brodo, siccome credevo che se qualcun altro avesse provato a ficcanasare nei miei problemi recenti, avrei rischiato di esplodere, o, per lo meno, lasciarmi sfuggire qualche parolina che preferivo tenere per me, e far udire il meno possibile a terzi.

Con mia madre continuava ad andare tutto a rotoli, e ormai neanche più speravo che tornasse com'era qualche settimana precedente, e di Piergiorgio neanche l'ombra. Era come se fosse tornato a sparire per sempre, come se avesse fatto parte di un limbo che poi si era ritirato senza lasciare più traccia di sé.

Sola, senza nessuno che mi stesse vicino, e fragile più che mai, mi accinsi così ad affrontare l'ultima serata che mi era stata regalata e preparata appositamente dalla mia migliore amica, senza riuscire a immaginare nulla di preciso.

Per fortuna che non mi lasciai andare a pronostici, poiché li avrei sbagliati tutti, in ogni caso.

Solita routine delle precedenti due serate; tornai a casa dopo una giornataccia lavorativa che aveva davvero lasciato poco spazio ai miei abitudinari tormenti interiori, per trovarmi di fronte alla solita mamma ammutolita e inquieta.

Tra noi, il muro non crollava.

Eppure, quella sera sembrava che andasse un po' meglio, e si dimostrò a suo modo felice, tramite un mezzo e insipido sorriso quando le assicurai che sarei uscita da lì a poco e che sarei rientrata tardi. Questo tornò a farmi innervosire, d'altronde era come se non mi volesse in casa.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora