Capitolo quindici

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Al tavolo numero due notai subito un bel giovane, baldo e dalla parvenza forte. Vestito in maniera molto rustica, come avevo potuto immaginare per una frazione di secondo da quando Irene mi aveva donato una piccola informazione su di lui, prima di lasciarmi sola a barcamenarmi in quella sorta di avventura.

"Ciao", lo salutai, in imbarazzo, prima di sincerarmi per bene che quello fosse il tavolo giusto, e il cartellino al suo centro lo confermava chiaramente, e mi avvicinai piano, con delicatezza.

"Ciao", mi rispose il giovane, che doveva essere un mio coetaneo, forse con solo un paio d'anni in più di me, notando i suoi lineamenti già abbastanza marcati. Era un po' in imbarazzo, come me, o almeno così interpretai lo sguardo vacuo che mi rivolse, pronto subito ad abbassarsi verso il tavolo, senza indugiare troppo sulla mia figura.

Mi accinsi a prendere posizione, e mi sedetti, mentre un cortese cameriere che passava di lì se ne accorse e accorse a spostarmi la sedia, però con una galanteria fredda e imposta, non come quella di Piergiorgio, che ahimè, mi tornava alla mente in quel momento delicato.

"Grazie", ringraziai il cameriere per il suo atto di gentilezza, e mi chiesi come mai il ragazzo non avesse mosso un solo muscolo. La risposta già la sapevo; noi giovani avevamo perso qualcosa, a riguardo di galanteria, ma il ragazzo sembrava che non desse davvero segno di vita. I suoi occhi erano fissi sul menù, ma proprio fermi, siccome non lo leggeva nemmeno.

Se fino a qualche istante prima avevo provato un brivido di esaltazione, ecco che tutto pian piano tornava a smorzarsi.

"Come ti chiami?", sussurrai piano, inquieta, continuando a notare la mancanza di reazione di chi avevo di fronte, con un po' di imbarazzo.

"Simone", mi rispose, a voce alta e squillante.

Sobbalzai leggermente sulla mia sedia, non attendendomi tanta risolutezza in una risposta così banale e formulata a voce bassa.

"Io invece mi chiamo...".

"Isabella, lo so. Irene me l'ha detto", affermò. Mi sventolò seccamente sotto al naso il biglietto d'ingresso, identico al mio, stampato in duplice copia per quella futile messinscena.

A me sembrava di aver a che fare con un bambino, sul serio.

Simone, come si era presentato, aveva un modo di fare che non era direttamente maleducato, ma di certo un po' rozzo e buzzurro. Aveva un che di scontroso e di infantile allo stesso tempo, almeno a primo impatto.

Sperai che tutto fosse volto a migliorare, perché ad andare avanti di quel passo la serata avrebbe solo rischiato di precipitare. E io non avevo chiesto d'orchestrare un tale evento, e non ci tenevo proprio a restarne ferita, neppure per sbaglio.

Afferrai il mio menù, dopo aver fatto un semplice cenno affermativo col capo e aver notato che il mio interlocutore non aveva voglia di aggiungere altro, e cominciai a leggere tutte le bontà che il locale offriva.

Passò altro tempo, e mentre attorno a noi tutti gli altri commensali sembravano felici e rilassati, su di noi era come se stesse aleggiando una tormenta di neve e gelo. Ero obbligata a riconoscere che, tre sere prima, tra me e Piergiorgio era andato molto meglio, nonostante tutti i disguidi del caso in questione.

Ma ero anche costretta a comprendere il fatto che noi due non ci conoscevamo affatto, io e Simone, e quella era la prima volta che d'incontravamo durante le nostre distinte e, probabilmente, molto differenti vite, quindi qualche momento un po' sospeso poteva starci.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora