Capitolo ventitrè

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Di nuovo in casa, seguii Piergiorgio. Come un cagnolino, quasi mi fossi messa nei panni, o, meglio, nella pelliccia di Kira.

Non volevo più nulla da lui, ero proprio senza pretese; ero consapevole di aver sbagliato, nei miei pensieri, ma avrei comunque voluto sfidare chiunque a non porsi qualche domanda sulla persona con la quale condivideva letto e passione amorosa.

Ritenevo le mie insistenze precedenti, quindi, piuttosto lecite, anche riconoscendo che forse avevo esagerato un tantino, e avrei dovuto avere più pazienza, e maggior riguardo verso una persona che con me si era sempre comportata da vero signore, amandomi solamente, senza giudicarmi e facendosi sempre gli affari suoi.

Ripercorsi quel medesimo corridoio che avevo affrontato poco prima, quando poi avevo scelto una sorta di ritirata strategica, ma fui mesta e silenziosa, rispettosa. Camminavo, seguivo il padrone di casa, e basta.

"Prego, accomodati pure nel salotto. Questa è la stanza principale della casa, e potrai finalmente conoscermi meglio; è come se fosse un mio secondo cuore".

Piergiorgio interruppe così il suo silenzio.

"Poi capirai", ammiccò.

Mi lasciò entrare per prima in un ambiente che si rivelò più spazioso di quel che potevo prevedere solo notando la dimensione della porta che conduceva al suo interno. Il salotto in effetti era quasi immenso, e più mi guardavo attorno, più mi sentivo spaesata in una stanza così spaziosa.

Era profumata, l'aria odorava di una fragranza orientale, simile a quelle che venivano soffuse nei mercati dalle bancarelle specializzate. La pavimentazione era scura, sembrava terra cotta, anche antica; i muri erano bianchi, ben intonacati, e in essi rilucevano, colpiti dalla luce solare che entrava dalle ampie finestre, una moltitudine di quadretti, che si rivelarono essere foto, man mano che le focalizzavo.

Circa cinque belle poltrone e un comodo divano dominavano in modo indiscusso il centro dello stanzone, con un bel tavolino di legno scuro a far loro da margine. Inspirai, piano, lasciando che la frescura dell'ambiente entrasse nelle mie narici.

Piergiorgio mi spinse all'interno, con la sua solita delicatezza, entrando anche lui nel salotto, e mi resi conto che ero rimasta imbambolata per un po', al primo sguardo.

Arrossii leggermente, in modo spontaneo.

"Ti piace?", mi chiese il padrone di casa, con un sorriso un po' forzato sulle labbra.

"Certo. È proprio bello", affermai.

"Ti vedo un po'... come dire, un po' frastornata", aggiunse, notando i miei tentennamenti.

"E' solo che non sono abituata a visitare ambienti così ricchi e sfarzosi".

Mi guardai attorno, di nuovo, resa prigioniera di quella curiosità che mi ero ripromessa di sopprimere, almeno inizialmente. Non potevo farci nulla; curiosare con lo sguardo, in modo ingenuo e infantile, a quel punto era più forte di me.

"Non è niente di che", minimizzò George, accompagnando le sue parole con un plateale gesto delle mani, "comunque, quelle che vedi appese ai muri sono tutte foto di famiglia. In pratica, anche la mia storia... ce ne sono molte dove sono il protagonista indiscusso".

Tornò a sorridermi, in un modo un po' meno teso.

"Beh, vedi tu... se vuoi fare delle domande su di me, questo è il momento giusto per pormele; ti risponderò senza problemi. Guardati pure attorno, altrimenti. Guarda le foto, capirai molte cose, senza bisogno che te le spieghi, e se prima vorrai accomodarti per un tè, ben venga", continuò a dirmi, sempre con grande cortesia, ma io ero rimasta ipnotizzata da quelle fotografie, volevo proprio vederle, siccome alcune sembravano antiche.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora