Capitolo ventinove

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M'informai, e purtroppo scoprii che era tutto vero. Un testamento olografo, scritto a mano da mio padre, era stato depositato da lui stesso presso il notaio Bernardi, che mi aveva avvisato tramite lettera, contenente i suoi recapiti e le informazioni che mi poteva offrire. Era quindi una realtà, un dato di fatto che mi aspettasse questo testamento tenuto segreto per volontà del mio genitore, fino al decesso avvenuto.

Come se si stesse stagliando una grande incognita nei miei orizzonti, ascoltai quello che l'uomo dalla voce limpida mi spiegava, al di là del mio cellulare, mentre ancora ero in pausa pranzo, seppur agli sgoccioli.

Mi parlò, non mi disse tuttavia un granché, e si scusò per il ritardo dell'avviso, addebitandolo ad altre cause, e si spiegò in modo molto umano. Io non attaccai in alcun modo, lo lasciai parlare, ascoltando quel paio di frasi in croce che aveva da dire, e presi consapevolezza del fatto che l'ostacolo c'era, e che dovevo affrontarlo.

Infine, con scarsa attenzione, salutai cortesemente il gentile signore e gli promisi che l'indomani pomeriggio sarei stata al suo cospetto. Dovevo e volevo togliermi quel sassolino dalla scarpa, e mi sentivo desiderosa di agire, d'altronde purtroppo mi aveva anche avvertito del fatto che la lettura del testamento non sarebbe stata posticipata con così scarso preavviso. Ed io volevo esserci, lì ad ascoltare, al momento opportuno.

Pochi minuti prima che scattassero le quattordici, e quindi anche la ripresa del mio turno, con il suo orario pomeridiano, mi recai a parlare con la signora Virginia, che non oppose alcuna resistenza e fu molto accomodante, e riuscii quindi a liberarmi per tre giorni. Due in cui sarei stata a Milano, e uno di libertà a casa mia, al ritorno da un viaggetto di cui ancora non conoscevo il vero volto, e di cui non riuscivo a immaginare nulla. Nulla di quello che mi avrebbe potuto riservare, o di quello che mi sarei dovuta aspettare.

Con tutta la strada spianata, avvisai mia madre, dandole velocemente la notizia, e poi telefonai a George, e nonostante tutto fu ben felice di tornare a garantirmi il suo appoggio e il suo passaggio. Poi, ritornai a lavorare, ma ero tesa in una maniera assurda, e faticavo a far tutto.

Alle quindici ero già sudata e anche tremavo, a tratti, dalla tensione, anche se sapevo che dovevo saper tenere a bada il mio inconscio. Ma la curiosità e l'ansia erano salite a picchi vertiginosi, e non riuscivo più a domarle.

"Isabella cara, credo che qualche giorno in più di riposo possa aiutarti a farti stare meglio. Ti vedo troppo tesa, ormai non parli neppure più, e di questo mi dispiace moltissimo! Prenditi tutto il tempo che ti serve, e non temere nulla, perché so che questo è un periodo molto impegnativo, e mi dispiace per quello che ti sta accadendo di recente", mi rassicurò la proprietaria del locale, gentilissima, quando tornai a passarle d'appresso.

Era incredibile notare come avesse cambiato atteggiamento da quando George le aveva parlato bene di me, e una volta era anche intervenuto come garante delle mie spiegazioni.

Se solo tre mesi prima mi fossi azzardata a narrarle anche una sola metà di quelle tristi vicende che mi stavano perseguitando e angustiando, avrebbe fatto tutto il possibile per licenziarmi e per rimpiazzarmi. Invece, oramai sembrava quasi fosse una mia vecchia amica, eravamo in ottimi rapporti.

"La ringrazio. È sempre molto umana e comprensiva nei miei confronti", la ringraziai, sorridendole.

"Come potrei non esserlo? Io voglio solo il meglio per te. Ormai sei come una figlia per me, e spero che la vita torni a sorriderti", aggiunse.

Il Principe Azzurro arrivò a MezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora