Capitolo 2.

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Non sapevo dire quanto tempo passò da quell'attimo indimenticabile, a che cosa pensai mentre ero lì ferma impalata assorta dai miei pensieri a fissare quell'unico, incopiabile, inesorabile muffin al cioccolato che stava lì, nel mezzo della vetrina della mia pasticceria preferita di tutta New York. Se avessi potuto, me lo sarei andata a sposare subito, senza pensarci due volte, me n'ero innamorata totalmente mentre stavo aspettando le mie amiche che rientrassero in macchina dal supermercato in cui erano andate. Sarebbero venute con me al pub dove dovevo lavorare, mi avevano detto che avevano intenzione di divertirsi al massimo e sopratutto di rimorchiare qualche bel ragazzo, io ci avevo provato a non farle venire ma loro non mi avevano ascoltata.

Il problema era che ogni volta che venivano al mio lavoro per divertirsi combinavano guai, ma proprio di quelli da sotterrarsi.
L'ultima volta Katie ubriaca marcia, si era sdraiata sul bancone e aveva fatto finta di essere un pesce mentre Jess, anche lei mezza rincoglionita dall'alcol, aveva pensato bene di concludere la sceneggiatura facendo il pescatore della situazione. Ci mancò poco così che il mio capo, tra l'altro stronzo, mi licenziasse, mi ero inventata una di quelle scuse che non erano credibili per niente, ma per fortuna, Dio me l'aveva data buona e lui chiuse un occhio per quella volta.

Avevo accostato la macchina in mezzo a Harlem 125th street con le quattro frecce, strada principale e un vero suicidio.
Stavo pregando ogni Santo che nessuna macchina della polizia passasse di lì mentre quelle stupide delle mie due amiche erano dentro al supermercato a comprare delle stupidaggini, ma che secondo loro essenziali.
Mi avevano supplicata, e alla fine avevo ceduto come ero solita a fare.

Presi il cellulare per chiamare una delle due a dirgli di muoversi mentre picchiettavo impaziente le dita sul volante. Finalmente Jess rispose chiedendomi il perché di quella chiamata.

<< Jess quanto vi manca? >> le chiesi presa dall'ansia, tant'è che controllai per tre volte la strada, sapendo che fosse una delle strade più controllate.

<< C'è un po' di fila in cassa >> mi spiegò lei, mentre io sbuffai.

<< Quanta fila? Jess se passa la polizia sono nella merda fino al collo! >> avevo speranza, anche se poca ne avevo.

<< Stai tranquilla Cath, la polizia non passa mai di qui! >> mi disse lei, mentre io feci una smorfia contrariata.

<< Jess, la polizia qui c'è sempre, lo sai meglio di chiunque! >> sbottai nervosa, osservando le macchine passare.

<< Non ti preoccupare >> borbottò lei << Ehi signora c'eravamo prima noi! >> le sentì poi dire infastidita.

<< Senti, non farti sorpassare... >> ridacchiai.

Jess continuò a parlare con questa presunta signora che aveva rubato loro il turno, mentre io incominciai a ridere fin quando sentii il rumore delle sirene spegnersi proprio dietro alla mia macchina, e spalancai gli occhi senza parole.

Mi girai lentamente, e vidi da lontano uscire un poliziotto dall'autovettura intento ad aggiustarsi la cinta dove solitamente tenevano la pistola, guardai e all'interno della macchina c'era un uomo intento a leggere qualcosa.
Aprii la bocca non sapendo cosa fare, e rendendomi conto che non potevo nemmeno scappare.
Presa dal panico lanciai anche il cellulare sui miei piedi per nasconderlo e schiacciai così tanto il capo al sedile che rischiai di sfondarlo, la mia intenzione era proprio quella di cercare di sotterrarmi da sola, peccato che non era possibile.
Magari Jess, e tutta la sua tranquillità, mi avevano portato a questo.

Pian pianino l'agente si avvicinò al mio finestrino, facendomi segno di abbassarlo, io d'altra parte gli feci un segno di saluto e un piccolo sorriso innocuo.
Abbassai il finestrino disinvolta, come mi aveva richiesto e trattenni il respiro, osservandolo meglio.

Scusa se ti amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora