5. Supergirl

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La pallina planò per aria; sembrava destinata a cadere sull'erba in balia delle giocatrici che, sudate e col fiatone, si stavano addossando tutte là sotto in attesa di acchiapparla per prime, con le loro stecche da lacrosse pronte. Nessuno si aspettava di vedere una delle giocatrici dalla maglia rossa e blu saltare così in alto, sembrare volando illuminata dall'impianto di luci del campo, e prendere la palla per prima, custodendola nella rete della stecca.

«Lo ha detto con una strana espressione, Alex... Non credo di inventarmi le cose».
«Che cosa era?», barbugliò con la bocca piena di schiuma di dentifricio, «Cos'era che ha detto? Io neanche mi ricordo».

Tornata sull'erba, la numero dieci iniziò a correre per mantenere il possesso della palla. Una giocatrice della squadra avversaria le si gettò contro ma, spalla contro spalla, ebbe la peggio, finendo sull'erba. Due giocatrici, in attesa del suo arrivo, piantarono i piedi a terra; ma niente sembrò poterla fermare: le andò incontro e si aprì con forza un varco per correre indisturbata verso la porta.

«La cosa sulla vaniglia... Che ne mangerebbe sempre, o qualcosa del genere».
«E allora? Non ho capito», si abbassò per sputare la schiuma sul lavandino.

La numero dieci piantò il piede destro per frenarsi, ruotando il corpo alzò le braccia con la stecca in tensione e lanciò la palla in direzione della porta con tutta la forza che aveva. Il portiere sembrò intercettarla ma era troppo tardi: la palla, veloce, era già dietro di lei, contro la rete della porta. La squadra rossa e blu conquistò un altro punto e, nel festeggiare, si tolsero i caschi, prendendo aria. La numero dieci sganciò il casco e i suoi capelli biondi le scesero sulle spalle; lo mantenne sotto il braccio destro intanto che, respirando con affanno, si portò le mani contro i fianchi.
«Questa è... Supergirl!», gridò un ragazzo mentre la telecamera si spostava sul suo faccione, lasciando il campo. «Capite? È pazzesca».
Lena sospirò, mettendo in pausa il video. «È proprio una super ragazza», sussurrò. Chiuse la pagina e la sua espressione cambiò, focalizzando il suo sguardo su vecchi articoli di giornale.

«Quando tu e Maggie ancora non eravate arrivat-».
«Non siamo arrivate insieme, te l'ho detto».
«Non intendevo-», sbuffò, «Quando voi ancora non c'eravate lei aveva detto qualcos'altro sulla vaniglia, del tipo che era il gusto per me, che mi rappresentava». Guardò Alex che a sua volta la guardava nel tentativo di capire. «Prima dice una cosa come che io sono la vaniglia, e poi che ne mangerebbe sempre con un tono di voce strano e mordendo il cono in modo ancora più strano», aggrottò le sopracciglia, in special modo dopo che Alex si lasciò andare a una grande risata, «E mi guardava...».
«Va bene, datti una calmata, Kara», continuò a ridere, cercando di non gridare poiché era notte e dovevano già essere a letto a quell'ora. «Stai cercando di dirmi che Lena Luthor stava flirtando con te?».
Lei arrossì, facendosi indietro. «Beh, no... ma-».
«No, Kara. Lena Luthor ha solo trovato un altro modo per stuzzicarti! E tu come al solito ci caschi con tutte le scarpe», diede una pacca sulle spalle della sorella, sorridendo ancora. «E adesso andiamo a dormire, ti prego. Domani torniamo a casa, ricordi? Hai pensato a questa cosa della vaniglia per giorni e non ti sei ancora sistemata il trolley».
«L'ho fatto. Quasi. Sistemo prima di andare, ho tempo».
Aprirono la porta del bagno e Alex le diede la buonanotte, andando a chiudersi in camera sua. Kara aprì la porta della sua stanza e, notando che Lena non c'era, tornò indietro verso il soggiorno. Vide la luce del suo laptop che illuminava la stanza nel buio, davanti al divano, e decise di raggiungerla. Appena Lena si accorse di lei chiuse la pagina delle email.
«Non hai sonno, vaniglia?».
«Sai, preferirei che tu non mi chiamassi in quel modo...», arrossì involontariamente.
«Allora so per certo che voglio chiamarti in quel modo», rise, ma non sentendo risposta da parte sua alzò lo sguardo dallo schermo, verso di lei. «Va bene: Kara. Stavo scherzando».
Sullo schermo comparivano scannerizzazioni di vecchi articoli giallognoli di giornale, scorse Kara. In grosso lesse il nome di Lionel Luthor. «Che tipo era tuo padre?».
«Molto riservato, a volte distante. Ma era un brav'uomo e quando ero bambina», Lena sorrise, adocchiando una vecchia foto del suo viso più giovane su quelle pagine di giornale, «mi prendeva sempre in braccio e giocava con me o mi raccontava delle storie». Poi scosse la testa, di colpo. «Forse lo faceva anche con Lex quando aveva la mia stessa età, non c'ero per saperlo».
Kara la fissò con attenzione, illuminata dalla luce dello schermo: era seria, ma le guance arrossate e gli occhi lacrimosi la tradivano. «Mi dispiace davvero per tuo padre».
Lena annuì. «Avrei voluto avere più tempo con lui. Quando cercavo informazioni sulla mia vera famiglia trovai solo mia madre», la guardò, «Avevo quattro anni quando morì e io fui adottata dai Luthor. Non sapevo nulla sul mio vero padre, non potevo avere idea che...», scosse la testa guardando di nuovo quei vecchi articoli. «Ero così arrabbiata con loro perché non volevano che cercassi la mia vera famiglia per poi sapere che ero frutto di un tradimento di Lionel Luthor con una donna che poi morì di cancro». Kara aspettò a dire qualcosa. «Immagino che Lillian non volesse che conoscessi la verità perché lui l'aveva tradita».
«Forse...», si azzardò a prendere parola, piano, «Forse non voleva che la guardassi in modo diverso. Come se fosse meno genitore».
«Come se fosse mai stata madre dell'anno, con me. Mi ha accettata solo perché non voleva che saltassi fuori dopo anni come una figlia illegittima di suo marito», rise, ma senza ilarità nello sguardo, chiudendo la pagina che conteneva gli articoli, «Avrebbe creato qualche scandalo. Adottarmi e nascondermi la verità avrebbe reso le cose più semplici per tutti. Non sa che io lo so».
A quel punto si zittirono entrambe, soprappensiero.
«Cosa pensi di fare, adesso, con Lillian?», le chiese Kara, «Non ti ha mentito sulla sua morte...».
Lena restò immobile, sembrò pensarci ancora a lungo e sul suo viso apparve una piccola smorfia, che tentò di arginare sul nascere. «Non farò niente. Sembra che stia con tua madre per vero interesse e io non posso che fare loro gli auguri», cercò di sorriderle, ma non sembrava sincera. «Non ho nulla contro Eliza; lei sembra davvero, davvero in gamba».
La vide spegnere il laptop e Kara si alzò, stirandosi braccia e schiena, lasciandosi andare a un grosso sbadiglio.
«Sembra che qualcuno stia cascando dal sonno».
«Non ne hai idea».
Si ritirarono sotto le coperte e, nonostante il sonno, pareva che nessuna delle due fosse pronta a dormire.
Kara si girò dalla sua parte e tentò di inquadrarla nel buio, dove le sembrava di vedere i suoi capelli. Sbadigliò di nuovo, cercando di contenerlo contro il cuscino. «Lena...?», chiamò subito dopo a bassa voce, nel caso stesse dormendo.
«Dimmi».
«Perché sei venuta qui se non ti piaceva la situazione di Lillian? Alex ed io saremmo tornate comunque, è casa nostra, ma tu potevi fare come tuo fratello, trovare la scusa di un impegno... una cosa del genere».
«Sì, beh... Come ho detto, Lillian non è mai stata madre dell'anno, ma è pur sempre mia madre. È la mia famiglia».
Kara sorrise e poi le diede la buonanotte.

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