49. Come una candela

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Quella vasca era enorme. Riusciva a girare su se stessa e a fare le bolle con la schiuma. Riempiva le mani di acqua e, avvicinando le labbra, soffiava le bolle e le ammirava volare e scoppiare. Così si rilassò di nuovo, adagiandosi lentamente, sorridendo estasiata nell'ammirare l'alto e luminoso soffitto, corredato da un lussuoso lampadario. Lena Luthor le aveva lasciato un asciugamano per il corpo sul bordo della vasca e dei vestiti puliti su un mobile, in modo che si cambiasse. Suo fratello Cyan l'avrebbe guardata con commiserazione per ciò che provava, eppure, pensò sospirando, se così era sentirsi felici, allora voleva esserlo sempre.
Lena le aveva creduto. Quando la trovò davanti al cancello della sua villa e le disse di essere scappata dal suo aguzzino, il garante che l'aveva fatta uscire di prigione in cambio dei suoi servigi che poi l'aveva rinchiusa quando aveva deciso di prendere le parti di Lena, lei la accolse, le aprì le porte della sua villa e, sperava, non solo quelle. Disgraziatamente quello che stava vivendo era solo in parte una libertà, lui la teneva ancora in pugno e al contrario sperava che l'avvicinamento delle due potesse velocizzare il suo piano per mettere Lena contro la sua famiglia, i Luthor, ma Indigo voleva vedere il bicchiere mezzo pieno della faccenda: ora poteva starle vicino, poteva vegliare su di lei e stare dalla sua parte alla luce del sole.
E poteva conoscerla, conoscerla dal vivo. Dopo aver passato anni a seguirla sui video online, adesso poteva parlarle, guardarla mentre si rivolgeva a lei, non a una videocamera. E aveva sempre preferito le videocamere alle interazioni umane; questa la diceva lunga su come quella ragazza la faceva sentire.
Nello stesso momento, Lena passeggiava in camera da pranzo, cellulare in mano contro un orecchio. Era molto agitata di avere Indigo Brainer in casa sua, dal vivo, dopo aver passato mesi a immaginarla dietro lo schermo che le rispondeva in chat. Avevano trascorso qualche ora della notte a parlare e dopo l'aveva lasciata a dormire sul divano ma, al contrario di Indigo, lei non aveva dormito affatto, con la testa affollata da troppi pensieri. Almeno, ora ne poteva parlare con Kara. «Dice di non conoscere la sua vera identità», rispose al cellulare, passandosi i capelli sciolti da un lato con la mano libera. «Non è riuscita a capire chi sia il suo garante».
«E tu le credi?», la voce di Kara dall'altra parte.
Lena si voltò indietro, cercando di scorgere che non fosse uscita dal bagno. «Glielo devo. Mi ha aiutato tante volte. Ci ha aiutato tante volte», si corresse, passandosi ora la mano in fronte, sospirando. «Non sa dove andare...». Udì una voce meccanica provenire dall'altra parte della telefonata e attese.
«L'hai sentito? Sono quasi arrivata a Metropolis, devo andare», la sua voce all'improvviso più bassa. «Mi spiace essere partita per andare da Kal proprio adesso. Avrei voluto conoscere questa Indigo».
«Non importa, la troverai qui quando tornerai. Si spera», sollevò un breve sorriso. «Tu divertiti».
«Sì... E tu stai attenta», la sentì dire in fretta e Lena sorrise. Kara non si fidava di Indigo, lo intuì subito. Ma si preoccupava per lei e non le dispiaceva quest'attenzione particolare.
Staccò la chiamata e sospirò, stringendo il cellulare tra i palmi delle mani, prendendosi un attimo per pensare, in silenzio. Accartocciò le labbra e puntò gli occhi verdi sul soffitto. Con Indigo al suo fianco, forse sarebbe stato più facile scoprire cos'era successo a suo padre. Un peccato che fosse il suo garante a dire di sapere cosa gli era successo, perché di sicuro, adesso che era scappata, lui non gliel'avrebbe detto. Sempre se fosse stato vero.
«Mi dispiace così tanto», le aveva detto Indigo, corrucciando lo sguardo davanti a lei sul divano, quando le aveva portato le coperte per sistemarsi per la notte. «So quanto tieni a scoprire su tuo padre, ma non potevo più lavorare per lui, dovevo andarmene», l'aveva guardata negli occhi con disperazione, avvicinandosi col sedere a dov'era seduta. «Quell'uomo, so che è un uomo... Quell'uomo è pericoloso. Non conosco i piani che aveva per te, ma iniziava a mostrarsi per ciò che era: ha voluto che ti chiedessi i dati d'accesso del sistema di allarme alla Luthor Corp solo per sentire di avere la situazione sotto controllo, quando tu rischiavi la vita. Non potevo permettere che giocasse in questo modo con te».
Non fosse altro, le era tutto più chiaro. E magari proprio col suo aiuto sarebbe riuscita a capire chi era quest'uomo e cosa voleva da lei. Intrecciava convulsamente le dita delle mani pensando a cosa fare che un forte rumore rimbombò per il salone e, destata dai suoi pensieri, Lena poggiò il cellulare su un mobile e si affacciò a una parete, al piccolo monitor in alto. «Cancello», esclamò, aspettando. Aggrottò lo sguardo e restò a bocca aperta quando riconobbe l'automobile, decidendo di coprirsi velocemente con il primo giaccone a portata di mano sull'appendiabiti all'ingresso e uscire fuori, lasciando il portone solo socchiuso.
Vedendo che si avvicinava, Roulette spense il motore dell'auto e aprì la portiera. «Lui è qui?», domandò subito, allungando lo sguardo verso il portone. «Lex! È qui o è a Metropolis? Devo parlargli».
Lena si strinse, cercando di ripararsi dal vento: indossava solo un leggins scuro e una felpa e sentiva il freddo che la colpiva attraverso il tessuto. «Devi andartene, non sei più la benvenuta qui».
Roulette la fissò, restando immobile, quasi ferita da quelle parole. «Non sono la benvenuta?!», abbozzò una risata, «È perché sono stata con Lex o per Kara?». Sollevò le sopracciglia, regalandole uno sguardo curioso. «Per averle messo una pillola nel bicchiere o per... beh, quello che le ho detto ieri?».
«Cosa le hai detto ieri?».
«Oh, non lo sai», sorrise, scrollando appena le spalle. «Ma niente, figurati. Giocavo con lei. Ottimo il teatrino alla Lord Technologies, a questo proposito... Sei fortunata che Max abbia tanta pazienza e troppo da perdere per stare dietro a voi».
«Max?», Lena arcuò un sopracciglio.
Roulette scosse la testa, lasciando intravedere un sorriso. «Non ci vado a letto, non fare quella faccia».
«Non me lo stavo chiedendo».
«Per restare in tema, dunque Lex non c'è? Gli hai mostrato le pillole e la nuova formula rubate a Max? Perché devi recapitargli un messaggio da parte mia: deve-lasciarmi-in-pace», strinse i denti, avvicinandosi alle sbarre del cancello. «Lo blocco ovunque e riesce sempre a rintracciarmi. Personalmente, all'inizio lo trovavo carino a insistere. Adesso comincia a diventare pesante e deve saperlo», gesticolò, sguardo duro, «Se non la smette, dovrò rivolgermi alla polizia».
Lena sospirò, non sapendo proprio cosa passasse per la testa di suo fratello. «Gli recapiterò il messaggio. Ora puoi andartene». 
Roulette sorrise e stava per girarsi verso l'auto, se non che il suo interesse fu catturato più avanti, verso il portone. «Ah, che preferisci proprio le bionde, di questi tempi. Ti dai da fare».
Si voltò anche Lena, scoprendo che Indigo aveva spalancato il portone; scalza, indossava solo un largo maglione bianco e le si notavano gli slip sotto, i lunghi capelli ancora bagnati, sciolti. La scacciò con un gesto e sospirò.
«Oh, non preoccuparti per me, sono l'ultima che può giudicare», si affrettò ad aggiungere l'altra. «Kara sarà felice di sapere che hai trovato rapidamente una sostituta. Da parte mia, già sapevo che sei qualcuno che fa alla svelta».
«Vattene», le disse soltanto, stringendo le labbra. Vide Roulette sorridere e alzare le spalle, tornando alla sua automobile. Così fece retromarcia e, ricordandole di dare a Lex il suo messaggio, se ne andò. 

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