61. Marsington

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C'era una volta un borgo, lungo la costa, di onesti e umili pescatori: Marsington. Il duro lavoro e la dignità contraddistinguevano i paesani, dediti alla salvaguardia del proprio approvvigionamento e autonomia lunga secoli. O così si diceva. Il tempo spesso mite favoreggiava la pesca e Marsington divenne presto uno dei maggiori fornitori di pesce di tutta la contea. Un avvenimento tanto importante, però, non poteva che portare con sé visibilità e gli sguardi ghiotti di chi vedeva nel nostro bel paesino un'opportunità maggiore di far denaro. A quel punto arrivarono gli uomini e le donne di città, coi loro abiti puliti e i soldi che, erano certi, avrebbero aperto loro tutte le porte. Costruirono nel cuore della piccola Marsington la loro azienda all'avanguardia e portarono via lo spazio a chi per quel lavoro, che era molto più che un lavoro, aveva dedicato la vita. Marsington si spezzò a metà: da una parte chi si arricchiva in modo veloce, arraffando ciò che il nostro mare offriva, e dall'altra ciò che restava degli umili pescatori che, insieme, poterono coalizzarsi per mettere in piedi un'impresa che potesse competere con l'altra. Perché era impensabile arrendersi, bisognava lottare e tenere duro per preservare ciò che era caro. E così, nel tempo, le due metà di Marsington combatterono duramente per la sovranità del territorio; battaglia che non si era mai spenta. Neanche oggi. Ciò che restava di noi, con le tute e gli stivali di gomma verdi. Contro i loro discendenti, con i colletti bianchi delle camicie ordinate. Verdi e Bianchi non avrebbero mai smesso di farsi la guerra. Mai.
Megan non poteva dimenticare quelle parole, sua nonna non faceva che ricordargliele non appena ne aveva occasione, perdendosi nei ricordi della sua infanzia quando, i ragazzi dei Bianchi e i ragazzi dei Verdi come lei, si davano battaglia nella pineta di Marsington, all'epoca molto più estesa. Aveva sempre notato come dell'astio di fondo covava nell'animo dei suoi concittadini, ma non ci aveva dato peso fino a una certa età, quando alcuni avvenimenti familiari la portarono proprio a stare a casa della nonna, dal territorio dei Bianchi a quello dei Verdi. L'odio era un sentimento che veniva tramandato nelle generazioni e avvelenava Marsington. Non fu mai così felice come quando si trasferì a National City per frequentare la Sunrise, allontanandosi da quel luogo che, temeva, l'avrebbe trasformata. E c'era stato un periodo in cui si era sentita tanto vicina a farlo.
«Mia nonna mi riempiva di storie dei ragazzi Bianchi che odiava», sospirò con espressione triste, staccandosi dal finestrino su cui si era appoggiata. «Una volta, un ragazzo le aveva fatto lo sgambetto e le aveva spinto la faccia su una pozzanghera piena di fango», la guardò, scuotendo brevemente la testa. «Era assurdo pensare che quel ragazzo non era che il figlio dei suoi vicini: il padre aveva firmato un contratto con la Swordfish Company proprio qualche giorno prima di quello scontro. Per mia nonna, quel ragazzo con cui era cresciuta, era improvvisamente diventato uno di loro e nient'altro. È stato così anche per mio padre, che era suo figlio. Quando nacqui io, per lei, lui era già un traditore».
Kara annuì lentamente, riflettendo. Dal finestrino, sembravano quasi arrivate. «I Bianchi...», annuì di nuovo, aggrottando la fronte. «Quante storie ti raccontava tua nonna su questi Bianchi?».
«Mh, tante».
«E... volevano ucciderla? Vo-Voglio dire, magari non ucciderla ucciderla, ma...».
Megan assottigliò gli occhi, riflettendo. «Beh, secondo lei... Perch-?».
«Ed erano Bianchi perché stavano in quella fazione, non perché... bianchi?!», assottigliò lo sguardo anche lei e si fissarono.
«Bianchi, Kara. Tutti quelli che stavano per la Swordfish Company, anche solo i clienti sono dei Bianchi».
«Bianchi», ripeté e Megan arcuò le sopracciglia.
«Bianchi».
«Bianchi», continuò. «È-È per essere sicura di una cosa».
«Quale cos- Oh!», allungò la bocca e dopo si mise a ridere. «Bianchi! Tu pensavi- ma no», sventolò una mano a un'anziana seduta dall'altro lato del bus che le stava fissando, «Non Bianchi davvero bianchi, o non tutti, non capisca... male», abbassò il tono della voce, «Si è girata. Ah, ora mi sta ignorando».
Kara trattenne una risata a labbra strette e l'amica le diede un colpo al braccio. Ma lei non credeva alle sue orecchie, finalmente quel borbottio durante il suo sonno aveva un'origine. Controllò il cellulare un attimo, gonfiando le guance.
«Va tutto bene? Mi spiace, non eri costretta a venire qui con me», sospirò di nuovo. «Con tutto quello che avrai per la testa, il funerale di mia nonna è l'ultima cosa di cui hai bisogno».
«Ma no», le sorrise subito, rimettendo via il telefono. «Mi fa piacere essere qui e mi aiuta distrarmi un po'. Appena tornerò a National City, sarà tutto cambiato. E l'idea di affrontare Millard, a essere onesta, mi terrorizza un po'...».
«Ti farò compagnia in panchina, ragazza. Quella finale sarà un vero disastro, te lo dico io».
«Perché in panchina? Cosa è successo?».
«Emh», Megan strinse i denti ma, appena realizzò di essere arrivate quando l'autobus scese da una stradina di collina, si accese, mettendosi in piedi. «Scendiamo qui, eccoci».

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