34. Paranoia

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«Non che mi sia mai fidata realmente di lui, ma...», Alex sospirò.
«E ha i permessi, ho fatto qualche telefonata. È incredibile che la passi liscia», mormorò Kara.
La maggiore scosse la testa. «Cominciavo a vederlo sotto un'altra ottica... immagino».
Ricordò di quando lo aveva incontrato, e non proprio per caso, nel momento in cui stava finendo il suo turno in boutique ed era uscita dalla porta: lui era a pochi metri da lei, appoggiato al cofano anteriore aperto di una costosa macchina da corsa. «Problemi al motore?», gli aveva chiesto, avvicinandosi. Vedendola, Maxwell si era illuminato.
«Così pare...», aveva sospirato e alzato le spalle, dando una nuova occhiata al cofano. «So cosa può sembrare: sono un inventore che non sa aggiustare la propria auto, ma è nuova e... credo mi sfugga qualcosa».
Alex aveva dato un'occhiata al motore molto velocemente e ci aveva infilato una mano, notando qualcosa. «Devo aver trovato la cosa che ti sfugge: hai staccato questo». Riattaccato un tubicino, aveva inquadrato il giovane uomo con la coda dell'occhio abbassare lo sguardo, colto in flagrante. «Perché sei qui?».
«Cercavo una scusa per vederti, lo ammetto. Sapevo che lavoravi qui e potrei aver controllato gli orari dei tuoi turni...».
«Sei preoccupato perché Kara mi ha detto della tua nuova e brillante attività a Gotham?».
Lui aveva immediatamente sorriso. «Il pub apre domani, i lavori hanno fatto presto. Verrai a dare un'occhiata? Per te, drink gratis».
«No, grazie», si era allontanata, girandosi un'ultima volta verso di lui. «Sai, cominciavo quasi a credere che fossi diverso dall'idea che mi ero fatta di te, ma credo che fosse giusta, dopotutto».
Lui aveva inarcato le sopracciglia, mosso dalla curiosità. «E quale idea ti eri fatta di me?».
Alex aveva sorriso compiaciuta, felice che glielo avesse chiesto: «Uno stronzo».
Maxwell era rimasto a bocca aperta e poi aveva abbozzato una risata, scuotendo la testa.

«Quasi dimenticavo», Kara fece una smorfia disgustata, «che sei andata a un appuntamento con lui. E non ci credo che tu me lo abbia detto solo quando ormai il danno era fatto, invece di confidarti subito con me». Scrollò le spalle e Alex, seduta accanto, la fissò assottigliando gli occhi.
«Devo davvero ricordarti che mi hai tenuta nascosta la tua intera relazione con Lena?».
«Ah... è vero», forzò un sorriso.

«Lena, a proposito...», guardò la minore e dopo s'incantò a giocherellare con le dita sui peli del tappeto su cui erano sedute, nella sua camera in villa Luthor-Danvers. Kara si ammutolì di colpo, tornando seria. «Non avete parlato, da quel bacio?».
Kara sbuffò. «Sai, non è esattamente compito mio parlare per sistemare le cose... È stato mio l'errore di baciarla».
«Lei ha ricambiato, Kara», la vide sbuffare di nuovo.
«Sì, ma... è perché mi ama, ma questo non cambia le cose. Finché decide di tenermi fuori da ciò che le passa per la testa, non ha importanza. Io ho sbagliato».
Erano passati tre giorni da quando, in quell'hotel a Star City, Kara aveva preso Lena di sorpresa e l'aveva baciata. Si erano baciate per la prima volta dopo la separazione. Era stato bello, ma rapido, e subito dopo triste. Potevano stare insieme, in quel momento, e baciarsi quanto volevano, invece c'era ancora quella cosa a mettersi tra loro. Si domandava quando Lena sarebbe stata abbastanza pronta per affrontarla. Nel frattempo, avevano passato le ore a scegliere e poi a provare una canzone da suonare e cantare al matrimonio. Lena aveva già pronta una base da suonare al piano, ma ora che sapevano che lei doveva cantarla, addio preparazione. Se non altro, avevano passato del tempo assieme; con qualche impaccio forse, ma il loro riavvicinamento, se a una delle due non fosse saltato di nuovo in mente di baciare l'altra e bruciare le tappe, stava andando bene. Era lento, ma stava andando bene.
«Proviamo questa parte?», le aveva domandato Lena, avvicinandole un foglio. Kara le aveva annuito e Lena si era rimessa a sedere davanti al piano, mentre lei si era alzata dal divano e sistemata vicina.

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