38. Prendere le distanze

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Il vento aveva sbattuto violentemente contro le finestre, quel pomeriggio. Era una giornata scura, fuori. Tutti avevano preso posto intorno a un lungo tavolo.
Rhea Gand si era messa in piedi e aveva alzato la voce, sbattendo i pugni davanti a sé. «Non possiamo permettercelo», aveva sottolineato con voce dura. «Se lasciamo che la giudice El lo condanni, sarà l'inizio della nostra fine», aveva guardato una per una più facce possibili, ritrovando volti spaventati e altri perplessi. Suo marito Lar era seduto alla sua sinistra e aveva la schiena contro lo schienale e una mano sulla fronte, come amareggiato e pensieroso. Non avrebbe osato aggiungere nulla.
«Tu sei matta da legare», si era levata alta un'altra voce.
«Astra», l'aveva chiamata Rhea, «La tua opinione non dovrebbe contare come quella di chiunque altro in questa stanza. Non oggi».
«Sì, certo», aveva detto freneticamente lei, alzandosi in piedi. Quasi aveva tremato, ma probabilmente dalla rabbia. «Perché è di mia sorella, che state parlando. Le cose tra me e Alura non vanno bene da anni, ma è pur sempre mia sorella».
«E allora cosa proponi?», l'aveva guardata con sfida. «Vorresti lasciarla fare?». Si erano alzate più voci del dovuto, creando brusio; nessuno sarebbe stato felice di quella scelta.
«No», si era difesa lei, guardando gli altri, cercando di farli smettere. «No! Ma voglio parlarle. Forse-», si era azzardata a dire, «riesco a farle cambiare idea». Aveva visto Rhea Gand ridere e altri seguire il suo esempio. «Forse riesco a metterla dalla nostra parte, abbiamo uno spiraglio-».
Rhea l'aveva interrotta, ribattendo con la voce sulla sua: «Tu vivi in un mondo di fiabe». Aveva sorriso guardando altri, cercando appoggio. «Non permetterò che una giudice mini il nostro lavoro lungo anni. Michaels sa troppe cose», aveva ringhiato, riferendosi al commercialista, «E potremmo davvero essere certi che non parli, una volta in tribunale?».
«Lascia che corrompi la giuria».

«La giuria sì, va bene, ma non è abbastanza», aveva urlato, «La giudice El ci sta dichiarando guerra e io non intendo perderla», si era portata una mano contro il petto, ricercando negli altri consenso. «Preferite dare ascolto a me, una beta, o a una delta che ha per famiglia il nemico?», la indicò e molti avevano applaudito, mentre altri erano rimasti in silenzio e nell'ombra, più incerti su come muoversi.
A un certo punto, la porta si era aperta con uno scatto fulmineo e un Dru Zod in divisa da sergente era entrato quasi senza guardarli negli occhi, palesemente infuriato. «I Luthor stanno arrivando», aveva dichiarato, camminando fino a una sedia vuota, alla sinistra di quella vuota del capotavola. Ma non si era seduto. Era rimasto in piedi a fissarli, lanciando uno sguardo indispettito a Rhea. «Hai deliberatamente indetto una riunione senza avvertire i presidenti».

Lei aveva sorriso, preferendo non rispondere. 

Nel presente, Lillian Luthor non chiuse occhio per tutta la notte. Era rimasta in biblioteca, a camminare. Poi si era rimessa a letto solo per non far preoccupare Eliza. Ora più che mai sapeva di aver sbagliato in passato a non punire Rhea come avrebbe dovuto. Era una questione di classe: avevano giurato di proteggerli, allora, ma quella donna stava diventando un problema enorme e in fondo lo era sempre stata. Avrebbe dovuto occuparsene undici anni prima, pur dovendo infrangere quella promessa. A un certo punto allungò un braccio e, arrivando al comodino, afferrò il suo cellulare.
Te ne devi occupare.

Inviò. Di certo non si aspettava una risposta alle quattro e mezza del mattino:

Ho giurato.

Lillian strinse le labbra e ingurgitò saliva, cercando di non agitarsi. Dunque Zod non avrebbe fatto niente? Se fosse, avrebbe commesso il suo stesso errore del passato.
Era troppo nervosa per provare ad addormentarsi, ma a un certo punto gli occhi le si chiusero per inerzia. Rivide Lena e Kara suonare al piano e cantare, scambiarsi un bacio, dire a Eliza che avevano intenzione di sposarsi. Oh, no, non lo avrebbe mai accettato. Si sarebbe opposta con tutte le sue forze a quell'unione.

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