41. Noi contro loro

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Il cielo era sereno, c'era un poco di vento fresco, i lenti passi di chi cercava di avvicinarsi il più possibile ai cordoni di velluto che dividevano loro dalla cassa da morto. Per l'ultimo saluto, disposero la bandiera degli Stati Uniti sopra la bara di Lar Gand e una grande ghirlanda di fiori. Erano almeno altre quattro le ghirlande disposte intorno a dov'era adagiato il suo corpo. Rhea pagò per farlo abbellire in modo che potesse tenere la bara aperta, ma il risultato fu tanto deludente che, a spiegazioni sulla bara chiusa, preferì non rispondere. Era presente il corpo di polizia, i Marines, l'esercito guidato dal generale Lane, che Kara adocchiò subito: al suo fianco doveva esserci la figlia minore, la sorella di Lois che aveva seguito le orme di famiglia. Erano tutti in divisa, in posizione. Erano presenti altri membri del Senato e politici, tanti giornalisti che non si perdevano un momento; anche Cat Grant, che era dall'altra parte. Parlottava con qualcuno vicino a lei e teneva la testa bassa, incrociando le mani in avanti e restando in posizione eretta, in segno di rispetto. C'era Maxwell Lord accompagnato da collaboratori, che le aveva viste ma non poteva avvicinarsi. C'erano volti noti a Lena, che partecipavano a pranzi o cene insieme ai Luthor e, appunto, ai Gand. Il sindaco, ovviamente, scortato da due guardie del corpo. Il Generale Zod; non si stupirono di vederlo. I loro occhi incrociarono anche quelli distanti di un volto conosciuto: Bruce Wayne. C'era parecchia gente con lui, ma era vicino solo a un uomo anziano, poco più basso.
Rhea Gand era sulla bara del marito da almeno venti minuti e singhiozzava.
La gente continuava ad arrivare, il parcheggio era pieno, e la collinetta d'erba del cimitero diventava via via più affollata. Difficilmente, Kara poteva immaginare così tante persone in unico luogo intorno a un silenzio tanto fitto. Si avvicinò a Lena il giusto per chiederle se sapeva qualcosa; lei guardò il cellulare una volta e sbuffò, scuotendo la testa. Dovevano attendere. Kara la scorse adocchiare il fratello Lex al suo fianco, che non accennava a smettere di stare appresso al suo cellulare. Forse gli affari alla Luthor Corp di Metropolis richiedevano assistenza, ma erano entrambe convinte, in fondo, che fossero più gli affari di Lord a interessargli, temendo che potesse agire contro di lui, presto o tardi. Ma non avevamo tempo per questo, d'altronde, si sentirono costrette a partecipare perfino al funerale. Non che non lo avrebbero fatto volentieri in altre circostanze, ma Jamie era stata rapita e, ora, niente era più importante del suo ritrovamento.
Seguirono Eliza e Lillian, quando altre persone davanti a loro si mossero. Kara non poté fare a meno di notare la freddezza del loro rapporto: sembrava che la prima stesse cercando di superare qualcosa e che l'altra fosse in attesa di sapere il responso per comportarsi di conseguenza. Avevano avuto una notte per pensarci, ma forse quel tempo non era sufficiente; d'altronde, nemmeno lei era riuscita a superare quei pensieri negativi per Lena, nonostante tutto.
Alex non c'era. Aveva raccontato a sua madre che non avrebbe partecipato perché Maggie si sentiva poco bene e voleva starle vicino e così, mentre loro vestite di nero aspettavano l'arrivo di un messaggio al cellulare di Lena, lei e Maggie, a casa di quest'ultima, ripulivano e caricavano le armi, scandagliando profilo per profilo su un cellulare quelli degli agenti di polizia di National City in cerca di un possibile obiettivo. Se il profilo misterioso, o una ragazza di nome Indigo come aveva detto loro Lena, avesse deciso di negare all'ultimo un aiuto per ritrovare la bambina, allora sarebbero state pronte con una lista di sospetti da colpire. Una collega l'aveva presa, ma la giovane poliziotta era convinta che ci fosse un gruppo dietro quel gesto, non una singola che aveva perso la testa per vendicare Faora Hui.
Una volta saputo cos'era successo dalla babysitter, Maggie si era messa in macchina e aveva chiamato Alex, trattenendo le lacrime, con una voce chiusa e asciutta. Aveva ignorato lei che le diceva di aspettarla ed era immediatamente corsa di nuovo in centrale. Una volta lì, aveva iniziato a urlare e pestare, accusando chi le passava per la testa di aver rapito la figlia. «Vi conviene dirmi subito dove si trova, o giuro che ve la farò pagare cara».
«A chi credi di venire a minacciare?», aveva risposto uno di loro, avvicinandosi.
Maggie lo aveva colpito in pieno viso e a nulla erano serviti i tentativi di altri poliziotti per dividerli: se non fosse arrivato Zod, sarebbe scoppiata una rissa fra le scrivanie.
«Si può sapere cosa sta succedendo, qui?».
Gli animi si erano placati, ma Maggie lo aveva fatto solo per paura di quell'uomo: e se fosse stato lui a farla rapire? Lo stimava, ma il fatto che facesse parte dell'organizzazione, in quel momento, non lo rendeva degno di fiducia. Le cose erano cambiate, ora che Jamie non era con lei. Intanto, era arrivata Alex. Tutti si erano girati a guardarla, sapevano chi era, e alcuni dei loro sguardi si erano tramutati in odio. Ma lei aveva deciso di passare oltre e raggiungere la sua ragazza; era lei ad aver bisogno realmente delle sue attenzioni. L'aveva abbracciata e Maggie non era riuscita a fare a meno di piangere.
«Ci stava minacciando», aveva detto uno dei poliziotti al capitano.

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