44. L'Operazione

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Rhea sgambettò con soddisfazione fino a una berlina bianca ferma all'ingresso del parcheggio. Il bodyguard la aspettava in piedi ed entrambi sollevarono la testa nel sentire gli spari. Lui le aprì la portiera destra posteriore e si andò a sedere all'altro lato, mentre l'autista metteva in moto. Trafficò con un tablet, stringendo gli occhi, e dopo glielo passò senza dire una parola.
«Oh, bene. Abbiamo un posto in prima fila», sorrise, selezionando delle icone e cambiando video.
«Ogni caposquadra ha la microcamera installata sotto il passamontagna, come aveva ordinato», rispose l'uomo al suo fianco, mentre la macchina usciva svelta dal parcheggio e si allontanava dalla centrale. «Oh! E le centraline sono state sabotate, naturalmente. Ci metteranno un po' a rimetterle in funzione su tutta la città. Abbiamo campo libero, signora Rhea».
Rhea selezionò proprio quella del caposquadra che spianava la strada al distretto di National City: urlavano e ordinavano agli agenti di allontanarsi dalle proprie scrivanie. «Mi piace quello che vedo, mi piace», annuì. «Se fanno i bravi, si farà male meno gente possibile». Cambiò telecamera e cambiò ancora, sentendo persone che urlavano, vedendo i suoi omega che rincorrevano qualcuno e lo sbattevano al muro, facendo irruzione in testate giornalistiche, uffici pubblici e oh, sorrise con gaudio, alla Lord Technologies ci stavano impiegando più tempo del dovuto, ma era quasi cosa fatta. «Ma dove sono...?», cambiò ripresa su ripresa, «Dove sono quelli che-».
Il sorriso dell'uomo si spense e mortificato le prese il tablet dalle mani. «Aspetti, aspetti, è uscita».
«Non sono uscita, non ho cliccato-», cercò di riprenderglielo.
«No, aspetti, è uscita, vede».
«Ridammelo».
«Un attimo, aspetti, e-ecco! Ecco».

Lei fece una smorfia, strappandoglielo dalle dita e schiaffeggiandolo. «Potevi dirmi dove cliccare». Riguardò con attenzione e sorrise maligna, seguendo la corsa di una squadra su per le scale della Luthor Corp. «Allora non sei solo petto peloso e muscoli, uh», si rivolse di nuovo a lui, che arrossì imbarazzato. Cambiò. La microcamera riprendeva un uomo entrare in un campus universitario e, cambiando ancora, un'altra mostrava la squadra all'interno di un'automobile, mentre si infilavano i passamontagna. Erano quelli che più le interessavano. Ah, finalmente tutto quello per cui aveva lavorato fin da ragazzina stava diventando suo. Sua sorella ne sarebbe stata orgogliosa, adesso?
«Non puoi impedirmi di farne parte, non puoi farlo», ricordava ancora le parole di quella sera. L'ultima sera.
«Sì che posso e non urlarmi, Rhea! Sei piccola ed è un giro che non mi piace. Non infastidirmi».
Aveva cambiato idea. Glielo aveva promesso e aveva cambiato idea proprio quando aveva accettato di sposare Adrian Zod. Sarebbe andata a vivere con lui, l'avrebbe lasciata indietro da tutto, quando prima si preoccupava solo di lei, la sua sorellina. La donna strinse le labbra secche con rabbia, al ricordo e, aprendo la sua borsetta, prese uno specchietto e il rossetto rosso, sistemandosi il trucco. Doveva entrare in scena.

Avrebbe voluto occuparsi delle persone scomode una volta divenuta presidente dell'organizzazione, ma perché perdere tempo? Aveva a disposizione un esercito adesso e quelle sarebbero passate in sordina come vittime casuali. Quasi dodici anni. Quasi dodici anni da quando il posto le era stato sottratto alle elezioni da Zod. Quasi dodici anni a tramare vendetta, a racimolare consensi e a raccattare uomini e donne per il colpo, per urlare a gran voce che National City era sua. Tutto per arrivare a oggi. Non pensava lo avrebbe messo in pratica così di fretta, ma ora che si era liberata di quell'uomo, doveva togliere di mezzo Lillian Luthor. Aveva dovuto agire prima che si coalizzassero. Forse Zod non si sarebbe sporcato le mani, ma lei... Non poteva di certo sottovalutare la minaccia: se voleva avere per sé il potere, Lillian Luthor doveva sparire. Rhea aveva pensato a tutto. 

Proprio come lei, anche Lillian ed Eliza erano appena entrate in auto, guidata da Ferdinand. Da quando aveva minacciato Rhea Gand, villa Luthor-Danvers era rimasta sorvegliata da alcuni uomini che lavoravano nella sicurezza della Luthor Corp e quattro di loro le seguivano ora con un'altra berlina a pochi metri. Era una situazione che a Eliza non piaceva, ma capiva che erano necessari. Avevano finalmente parlato di ciò che era successo nel passato e Lillian l'aveva messa in guardia su Rhea, le aveva spiegato che minaccia rappresentasse per loro e per Kara, e sua moglie aveva compreso, dimostrando preoccupazione. Non le piaceva che fosse andata a minacciare quella donna, anche se sapeva bene perché lo avesse fatto. Avevano giurato di non tenere più segreti tra loro. Il loro rapporto, da quest'ottica, ne stava di certo giovando, anche se non era ancora tutto tornato com'era e, forse, non sarebbe accaduto fino a quando quella situazione sarebbe aleggiata sopra le loro teste come una nuvola di sventure. Forse Eliza aveva sempre capito che donna era sua moglie, ma quella situazione non coincidenza affatto con la sua idea di vivere una vita normale. Senza contare che, per lei, avrebbe dovuto mentire a Jeremiah e non l'aveva mai fatto. Lui portava il lavoro a casa, al tempo, e Lillian ciò che Jeremiah condannava. Quando dall'ufficio del sindaco erano arrivati i soliti inviti per la prima cena dopo la morte del senatore, aveva accettato di accompagnare Lillian perché voleva guardare in faccia la donna che aveva ucciso i genitori di Kara e minacciato la sua vita. Sapeva che non avrebbe potuto dirle nulla, ma voleva vederla in faccia. Doveva capire che volto avesse tanto odio.
«So che le cose sono ancora strane, tra noi», mormorò Lillian abbassando lo sguardo, notando con la coda dell'occhio che Eliza era girata verso il finestrino. «Ma ci tenevo a dirti quanto io mi senta fiera di te, in questo momento. So che questa situazione ti fa paura, ma-».

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