51. L'erede

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Ricordava la sirena dell'ambulanza, parcheggiata di fronte a casa Taylor, che girava ininterrottamente. Petra lo aveva chiamato per andarla a prendere e si era mosso subito da casa, aveva parcheggiato l'auto a pochi metri ed era sceso reggendosi i capelli alle spalle, spettinandosi, spalancando gli occhi di terrore. Aveva iniziato a correre senza rendersene conto ed era già davanti alla porta di casa, aperta. Qualcuno lo aveva afferrato per le spalle e forse aveva detto qualcosa, era sicuro che avesse detto qualcosa, ma non aveva sentito, non ricordava una sola parola di quel momento perché, l'unica cosa che davvero aveva sentito, era la sua tachicardia che si appoggiava a un attacco di panico crescente. Cos'era successo? Doveva andarla a prendere, doveva solo andarla a prendere e... Rhea. Aveva visto quella ragazzina, lì, a pochi metri dalla porta. Dei poliziotti la circondavano: le avevano messo sulle spalle una coperta e cercavano di parlarle, ma lei non emetteva fiato. Era immobile, si guardava le mani. Aveva visto come si guardava le mani. E dopo aveva visto lei e sì che ricordava le urla. Sembravano distanti, provenire da qualcun altro, ma erano sue: strazianti, disumane come ciò che aveva provato. Aveva gridato il suo nome e si era messo a correre, nessuno poteva fermarlo. Petra giaceva a fondo delle scale: gli occhi aperti, la bocca socchiusa, un braccio girato al contrario, riverso sulla schiena. Più cercava di ricordare quel momento, più Adrian Zod la ricordava fredda, di pietra, di un colore più simile al marmo che a quello di un cadavere. Il suo cervello si sforzava per sostituire le reali immagini con ciò che indicavano le sue emozioni. Non voleva perdere quelle immagini, ma non poteva fermarle. Ci provava sempre. Voleva ricordare Petra com'era morta davvero, non come l'aveva sentita allora e la sentiva oggi. Voleva ricordare Petra com'era morta, e non solo il suo sorriso e com'era fare l'amore con lei. Voleva ricordare Petra com'era morta e Rhea che si guardava le mani.
«Non fategliela toccare! Spostatelo da lì». I poliziotti lo avevano tirato indietro e lui aveva urlato di nuovo.
Avevano coperto il corpo di Petra Taylor con un telo e il giovane Dru Zod aveva lanciato un'occhiata irosa alla quindicenne Rhea Taylor, che ancora si guardava le mani. «Tu! Sei stata tu!», aveva gridato e lei sobbalzato, spalancando gli occhi impauriti, tornando un passo indietro. «Lo so che sei stata tu». L'aveva poi indicata ai poliziotti: «È stata lei! Ha ucciso la mia Petra! Era gelosa! È stata lei».
Tremando, Rhea aveva continuato a guardarlo mentre lo trascinavano fuori. Allora aveva paura e, in questo momento, ne provava altrettanto, perché erano soli in quella saletta delle visite, divisi da una grata e un bancone che lui poteva sorpassare e lei no, ammanettata a un gancio. Le telecamere erano spente, la porta chiusa e con le tapparelle abbassate. C'era uno specchio ma non era sicura che, dall'altra parte, qualcuno stesse tenendo d'occhio il loro colloquio. E poi, anche fosse, non aveva dubbi su come Fort Rozz fosse sotto il suo comando. Nessuno sarebbe venuto a salvarla, se a Dru Zod fosse venuto in mente di ammazzarla. «Sei venuto qui per guardarmi?», gli domandò. Voleva provargli come non avesse paura, ma era inutile se la gola le si seccava e le mani, tenute strette sul banco, tremavano.
«Stavo osservando i tuoi occhi», disse piano, attento a non perdersi un suo solo movimento di ciglia. «Non avevo mai fatto caso a quanto fossero diversi da allora». Lei alzò un sopracciglio e lui, serio, rispose: «A quando uccidesti Petra».
Lei spalancò le narici e cercò di stringere i pugni, ma non poteva. «Non ho ucciso mia sorella. È stato un-».
«Incidente», la interruppe. «Dicesti questo. Dicesti molte cose, al tempo», prese una pausa, aprendo la bocca ancor prima che gli uscisse una parola. «Sei stata lucida, poi confusa, di nuovo lucida. Ho riguardato così spesso i file del caso, da quando sono entrato in polizia, da sapere ogni virgola dei fascicoli a memoria. Hai fatto di tutto per farti considerare una testimone inaffidabile: la povera sorellina incapace di ricordare cos'era veramente successo, troppo scossa emotivamente, troppo», si alzò dalla sedia e lei sussultò, «turbata. Un incidente, però c'era qualcun altro in casa, poi di nuovo un incidente. Non ci sono mai stati elementi per riaprire il caso. Te la sei sempre cavata».
«Che cosa vuoi, Dru? Uccidermi per vendicarti? Almeno sii chiaro... Finirai per uccidermi di noia», barbottò infine, non troppo convinta. «Petra è caduta dalle scale, no-».
«Lo so che l'hai spinta tu!», urlò all'improvviso, battendo le mani sul banco.
Lei restò ferma, ghiacciata. Un brivido di paura le percorse tutto il corpo come una scossa di terremoto.
«Ma non voglio ucciderti», specificò con voce più calma, tirando le labbra fini. «Voglio che confessi».

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