11. Nel sangue

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«È una S?», aveva domandato la piccola Kara, scorgendo il foglio su cui stava disegnando suo cugino Kal, a fianco a lei sul tavolo.

«No», aveva riso lui come se la domanda posta fosse troppo sciocca. «È un simbolo, il nostro. Me lo ha mostrato mio padre, lo hanno disegnato lui e tuo padre quando erano ragazzi. Significa speranza ed è l'emblema degli El».

Kara aveva annuito. «Non lo sapevo...».

«Adesso che lo sai non dimenticarlo, per favore. Forse loro lo hanno fatto», aveva detto, adocchiando i loro genitori attraverso la porta della stanza accanto che discutevano animatamente di lavoro.

.

Kara corse ad abbracciarlo e lui la strinse a sua volta dopo un attimo di sorpresa. Lena li guardava in disparte, con trattenuta emozione.

«Sai chi sono?», domandò lei, ma in cuor suo conosceva già la risposta poiché non avrebbe potuto abbracciarla in quel modo se non fosse così.

«Kara Zor El», lui sorrise e si guardarono, «La mia amata cugina».

Si strinsero ancora e Lena appoggiò i loro bicchieri su un tavolino.

«La mia amata piccola e rompiscatole cugina», specificò allora e la sentì ridere, rialzando un poco lo sguardo e strofinandosi un occhio.

«Sono Danvers, adesso».

«Ma certo». Lui alzò lo sguardo verso Lena e lei gli annuì con un sorriso. «Allontaniamoci, abbiamo un sacco di cui parlare».

Kara gli disse di sì ma cercò subito Lena, che confermò con lo sguardo che potevano lasciarla.

«Ci sentiamo più tardi, se vuoi», le rispose e la vide andare verso un gruppo di curiosi che si facevano domande sui progetti della Luthor Corp, così Kal la accompagnò verso l'ascensore.

Era lui. Era proprio lui. Cresciuto, con i capelli ordinati da un lato, altissimo, dalla postura possente, ma con il solito sorriso e gli occhi azzurri che le ricordavano casa. Le ricordavano casa, sì, ma una casa diversa, lontana, quella che pensava non avrebbe più ritrovato e si sentiva un po' una bambina smarrita, quella Kara bambina che, in una sera, aveva visto il suo mondo sparire in un suono sordo.

«Quando Lena Luthor mi ha cercato e mi ha invitato alla mostra qui a National City per scrivere un articolo per il Daily Planet, beh, sono rimasto un po' sorpreso... Sarebbe venuto qui qualcun altro e mi chiedevo perché dovessi essere proprio io».

«Tu e lei vi conoscete?».

«Diciamo di sì. È la sorella minore di un ragazzo che conosco, o conoscevo».

«Lex».

«Sì». La guardò con interesse, poi, illuminato dalla luce dei lampioni e della luna. Era notte, ormai, e camminavano sul marciapiede, fermandosi ai pressi della stazione dei bus, sedendo su una delle panchine vuote e fredde. «Quasi dimenticavo la novità: la tua madre adottiva è fidanzata con la madre di Lex, quindi vi siete conosciuti così... è proprio piccolo il mondo! Lei mi ha poi spiegato perché voleva che ci fossi io. Ma non ero sicuro di venire».

«Perché?».

«Perché avevo paura».

Kara abbassò lo sguardo, stringendo le labbra. «Probabilmente ne avrei avuta anch'io se me lo avesse detto, invece di farmi una sorpresa», sorrise.

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