17. Il mantello invisibile

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Seduta davanti alla sua scrivania, si stava infilando gli orecchini perdendosi attraverso il suo riflesso nello specchio tondo. Quando il cellulare a fianco aveva suonato, lo aveva preso subito, interrompendo la melodia.
Sto arrivando.
Aveva letto il messaggio e spento lo schermo, sbuffando senza energie. «Devi andartene», aveva sentenziato quasi freddamente.
«Oh, sta già arrivando il fidanzatino?», si era lamentata la ragazza dietro di lei. Era distesa a pancia in giù sul letto sfatto, nuda, coperta a metà solo da un fine lenzuolo bianco. «Credevo sapesse di noi», aveva detto, sforzandosi per mettersi a sedere e cercare i suoi vestiti.
«Sta arrivando mio padre, non Jack».
La ragazza si era rivestita in fretta come aveva potuto e le era passata di spalle per recuperare le scarpe. «Potresti cogliere l'occasione per parlargli di quello», le aveva indicato con un cenno dello sguardo la pila di fogli pinzati sulla scrivania, su cui Lena, a quel gesto, aveva irrimediabilmente posato gli occhi. La ragazza le aveva lasciato un veloce bacio sulla guancia prima di dirigersi alla porta.
Sentendo la serratura di casa scattare, Lena le aveva detto di aspettare ed era uscita lei per prima, sistemandosi il vestito lungo i fianchi e chiudendo la porta alle sue spalle.
«Ti aspettavo questo pomeriggio», le aveva detto nel raggiungerlo davanti le scale. Gli sfiorò una guancia con un bacio, ruvida per via dei peli rigidi della barba, e lui la tenne a sé circondandola per i fianchi con un braccio.
«Ho preso il volo prima, cominciavo ad annoiarmi», aveva risposto lapidale, continuando a camminare per il corridoio raggiungendo una porta.
Lena si era appoggiata al muro accanto alla sua come di vedetta, aspettando che passasse di nuovo. «Non avevi un'altra intervista, questa mattina?».
«Probabilmente», era uscito dalla camera, che aveva richiuso con cura, e l'aveva superata, scendendo verso il soggiorno.
Lena aveva riaperto la porta di camera sua e fatto uscire l'altra ragazza che, con un cenno di tacere, l'aveva invitata a prendere l'altra scala per arrivare direttamente nell'ingresso e andarsene.
«La signorina Sinclair non si unirà a noi per colazione?».
Le due si erano guardate. Veronica Sinclair aveva alzato le spalle e Lena le aveva annuito, un po' seccata che suo padre le avesse scoperte.
Alto, corporatura esile, con i capelli ordinati da un lato e la camminata calcolata, il signor Luthor si era passato i laccetti del grembiule verde sulla schiena e, dopo averlo legato, aveva aperto la cucina e poi i pensili che gli servivano, cercando al loro interno. Lena e Veronica si erano sedute davanti a lui, sul bancone della penisola, guardandolo intanto che cucinava.
«Quanto tempo», aveva detto lui rivolto alla seconda, servendole un piatto davanti e poi uno a sua figlia. «Era da un po' che non ti vedevo, forse da quando Lex si è trasferito».
«Oh, è perché ho lasciato l'università, signor Luthor», aveva sussurrato con un flebile sorriso.
«Male», aveva decretato, versandole sul piatto una frittella direttamente lasciandola scivolare dalla padellina. «Lo studio rende liberi».
«Beh», aveva guardato Lena di sfuggita, che veniva servita a sua volta, «Spero di trovare la mia libertà altrove... Il mondo è grande».
«Speriamo sia così», aveva risposto, aggiungendo una terza frittella su un altro piattino. «Ma mi permetto di dissentire: il mondo non è poi così grande». Aveva lasciato la padellina nel lavello e si era messo a mangiare la sua frittella lì, in piedi, tagliandola con la forchetta e mettendola in bocca. Poi, dopo averne trangugiato due morsi, aveva detto dispiaciuto che avrebbe voluto metterci dello zucchero a velo che si era dimenticato di far comprare. «Lena. Non ti vedi con Jack?».
Lei aveva deglutito, adocchiando Veronica e il suo sorriso un solo attimo. «Ci vediamo tra poco. È tornato questa notte da Budapest».
«Ah, benedetto ragazzo... Come vanno le cose tra voi? Mh? Vi... trovate ancora?». Sapeva a cosa alludeva allora suo padre e Lena aveva preso un grosso respiro, pensando a cosa dirgli, se non fosse che lui, vedendo la sua reazione, l'aveva anticipata: «Non è mia intenzione fare la paternale, Lena. Sono cose tra voi, non mi interessa. La mia è pura voglia di conversare... Tua madre ed io abbiamo sempre adorato Jack, ma», le si era avvicinato, guardandola attentamente negli occhi limpidi, «non siamo noi ad essere fidanzati con lui. Mi pare chiaro». Aveva iniziato a sparecchiare e Veronica Sinclair si era alzata, ringraziando e salutando Lena con una pacca su una spalla e un malizioso sorriso, così se n'era andata.
Perché non gli aveva detto che lui era il suo vero padre? Perché glielo aveva tenuto nascosto? Perché aveva lasciato che Lillian, per anni, la trattasse come qualcuna che era sempre in debito con loro per averla adottata? Lo aveva guardato lavare i piatti, ferma e in silenzio, ma erano tante le cose che avrebbe voluto urlargli e non riusciva. Era così arrabbiata...
«P... Papà».
Lui aveva chiuso l'acqua e si era voltato con sorpresa, poiché era da tanto che non lo chiamava in quel modo. L'aveva guardata, in attesa.
Lena aveva deglutito, abbassando lo sguardo e infine alzandosi dalla sedia. No. «Devo andare, passo in università prima di trovarmi con Jack».
«Ho capito. Invece io farò una bella corsetta a cavallo... Ho proprio voglia di rilassarmi».
«Va bene. Buona giornata».
«Ah, Lena». Lei era tornata indietro, voltandosi appena. «Sei meravigliosa, figlia mia».
Era la terza volta che glielo diceva quella settimana e aveva deglutito con sguardo duro, non sapendo come replicare. Aveva abbassato lo sguardo e ribadito il saluto, andandosene. Non poteva sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto. 

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