19. Qualcosa da nascondere

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Mike aveva aperto la porta di casa guardandosi velocemente intorno. Anche lui era sembrato agitato quanto lei di quell'incontro. Si frequentavano ormai da mesi e Mike conosceva già sia Eliza che Alex, e perfino Jeremiah; era normale che anche lui desiderasse di far conoscere alla sua ragazza, Kara, la sua famiglia. Entrati in un lungo corridoio, Kara si era subito resa conto che la casa sembrava ancora più grande all'interno che all'esterno, ed era luminosa, piena di vasi antichi e quadri di famiglia, molti dipinti ad olio e con grosse cornici in legno rifinite e lucenti. Anche i mobili avevano un aspetto antico, come se tutto in quella casa fosse un enorme museo. Lui le aveva stretto una mano e l'aveva tirata dentro con un bacio e poi, superati i primi metri, si era affacciato dinanzi a un grande arco alla loro sinistra dove, sotto qualche scalino, si affacciava un ampio salotto, completo di divano, piante in vaso, una vecchia e grossa scrivania in legno davanti a una portafinestra che portava in cortile, su cui era seduto davanti un uomo. Una donna invece era seduta su una delle poltrone e stava leggendo una rivista.
Mike si era schiarito la gola ed entrambi avevano dimenticato cosa stavano facendo, attenti al loro unico figlio. «Papà, mamma, voglio presentarvi la mia ragazza», l'aveva portata in avanti come un trofeo e lei era impallidita, reggendosi le mani e stringendo le labbra. «Kara».
I due coniugi si erano scambiati uno sguardo e si erano alzati adagio, guardando a lungo la ragazza, tanto che lei aveva cercato di tirarsi indietro con ansia improvvisa, se non fosse stato che Mike, a un passo dai suoi piedi, glielo aveva impedito. Al contrario, il giovane le aveva stretto la mano unita con più forza e le aveva fatto capire che sarebbe andato tutto bene, scendendo al suo fianco le scale che li separavano.
«Credevamo che non fosse una cosa seria», aveva immediatamente detto la donna, continuando a squadrarla con maniacale insistenza.
«Lo è», aveva risposto il figlio, guardando Kara.
Lei si era sentita sgradita dal primo istante, ma mai avrebbe immaginato una tale ed esagerata reazione.
«Sei ancora un bambino per avere una relazione seria», aveva espresso il suo parere il padre, il senatore Larson Gand. Kara si era sentita così emozionata di conoscerlo e lui l'aveva freddata con una sola frase.
«Tutte le ragazze con cui scopi sembrano importanti, alla tua età», aveva ripreso a dire la signora Gand, guardando lui e osservando lei, che aveva aggrottato le sopracciglia indispettita. «Crescendo ti renderai conto da solo che era solo una come tante».
«Ma, mamma, cosa stai-».
«Non interrompermi. Voi non siete fatti per stare insieme. Noi siamo i tuoi genitori e sappiamo cosa è meglio per te», lo aveva tirato in avanti, separando le mani strette dei due. «Lei non è adatta a te».
Kara deglutì, ripensando alla prima volta che aveva messo piede in quella casa. I signori Gand si erano ripresi Mike da lei, spingendolo in avanti e la madre lo aveva stretto tra le braccia, mentre lui guardava indietro, verso di lei, con sguardo smarrito. Di certo Mike doveva averne capito meno di lei di quel comportamento.
Bene. Prese respiro e suonò il campanello. Doveva affrontarli.
«Si-Signorina Kara?!». Ad aprirle la porta solo la domestica. Ormai da tempo non si vedevano più. «Cosa fa lei qui?».
«È un brutto momento, Joyce?», strinse le labbra, cercando di guardare oltre la donna.
«Lo è sempre, signorina», rispose a bassa voce.
«Devo parlare con il senatore: può dirgli che sono qui?».
La donna, che credeva avesse dopotutto solo pochi anni più di lei e qualche capello bianco da stress, tornò dentro dopo qualche remora, lasciando la porta socchiusa. Quando la vide tornare, Kara sapeva che portava cattive notizie. «Mi spiace, signorina. Ma la signora Gand sta riposando e il senatore non vuole si faccia chiasso, sta lavorando». Se lo aspettava. Kara annuì, ma poi le sussurrò le sue scuse: la placcò come un'avversaria sul campo ed entrò in casa, dirigendosi subito verso il soggiorno. Joyce la seguì col batticuore, ancora frastornata per aver sbattuto contro la porta. «S-Sono rammaricata, signor Gand, non sono riuscita a fermarla».
Seduto davanti la sua massiccia scrivania, lui alzò lo sguardo e così la mano, congedando la domestica. Si alzò e fece a Kara cenno di sedersi su una delle poltrone, ma lei restò in piedi.
«Non ci aspettavamo di vederti tornare», emise con sorpresa. Si appoggiò sulla scrivania, sedendo in un angolo e così reggendosi le mani sudate.
Quell'uomo era imponente e le aveva sempre fatto una certa impressione, ma adesso non sentiva più di dover riservare a lui un qualche tipo di rispetto. «Non è una visita di piacere e non sono qui per Mike. Ho saputo che è stato lei a pagare il trasferimento per pensionamento anticipato di Marcus Morgan».
«Marcus Morgan?», sospirò lui, spostando gli occhi in modo vacuo, «Dovrei sapere chi è? Il suo nome non mi dice niente».
«Beh, credo di sì: è stato il coroner che si è occupato di Lionel Luthor. Lo conosceva il signor Luthor, no?». Si strinse alla cinghia della sua borsetta, cercando di riordinare le idee.
«Ah, capisco... Sì, ecco, ora ricordo. Sono un senatore, Kara, ho a che fare davvero con tantissima gente e i nomi...», lasciò la frase in sospeso, guardandola dritta negli occhi. «E conoscevo il signor Luthor, certo. Un grande amico, una grande perdita. Perché ti interessa di Morgan?».
Kara trangugiò. «Mi chiedevo il perché del suo pensionamento anticipato».
«Ho fatto un favore a quell'uomo... Era stanco, il suo lavoro lo opprimeva, così ho fatto qualche telefonata», scrollò le spalle.
Lei si lasciò scappare un sorriso. «Adesso di lui si ricorda bene, eh?!».
«Ho sentito che ora stai lavorando per Cat Grant. Sei qui per lei, scrivi un articolo sul duro lavoro dei coroner o...?».
«No», si guardò brevemente intorno, «Sono qui per... questioni private». Agganciò di nuovo i propri occhi ai suoi, sperando di cogliere una bugia, qualcosa di sospetto, qualsiasi cosa. «Conosceva anche i miei genitori, senatore?».
«Jeremiah e Eliza Danvers?! Certo, ai consigli della scuo-».
«No, non loro. I miei veri genitori: Alura e Zor El». Lui scosse immediatamente la testa ma Kara lo vide, lo vide chiaramente quel bagliore nei suoi occhi, anche solo per un attimo: mentiva.
«Mi spiace, ma...», scrollò le spalle e serrò le labbra con forza, «No. Perché...? Cosa hanno a che vedere con il coroner o il signor Luthor?».
Kara stava per replicare, quando l'alta voce della signora Gand interruppe ogni proposito: «Cosa fai tu qui? Non ti è bastato spezzare il cuore di nostro figlio?».
Era nel corridoio, poco sopra le scale. La guardava con ancor più disprezzo di prima, come se avesse potuto ucciderla con un solo sguardo. «Lei non era neppure favorevole alla nostra relazione», sbottò, alzando un poco le braccia.
«E questo ti dà il diritto di rifiutarlo?». Scese velocemente le scale, mentre suo marito chinava la testa. «Ti dà il diritto di venire qui e alzare la voce contro mio marito? A fare domande senza capo né coda?».
«Non sono domande senza capo né coda-», lei la interruppe, parlandole sopra.
«Sono proprio curiosa di scoprire cosa ne penserà Cat Grant di questo tuo comportamento sconsiderato, ora che lavori per lei. Piombi qui senza invito e pensi di poter fare quello che vuoi, mettendo bocca in cose che non ti competono. La gente si fa male a causa di azioni di questo tipo».
Kara trattenne la rabbia davanti a quella donna che le gridava a pochi centimetri dal viso. «Mi sta minacciando?». Quello era troppo.
«Vattene», sibilò e Kara strinse forte i pugni, guardando di straforo il senatore Gand che aveva deciso di stare zitto. Poi però, sopra la scalinata, intravide Mike. Anche la donna si voltò, intimando al figlio di tornare in camera sua.
«La stai sbattendo fuori?».
«Sono cose che non puoi comprendere, tesoro».
«Smettila di trattarmi come un bambino».
Kara si riportò bene la borsa in spalla e riuscì a superare i genitori del ragazzo senza toccarli. Salì le scale e disse a Mike che stava comunque per andare via, girandosi e salutando i due nel modo più cortese che riuscisse a fare, in quella circostanza. Lui la seguì fuori e la signora Gand fissò suo marito, ancora adirata.
«Sta mettendo il naso nei nostri affari e tu la lasci parlare», digrignò a denti stretti, cercando di non alzare troppo la voce.
«Pare che stia grattando la superficie, e allora?». Si alzò, ritornando dietro la scrivania e sedendo sulla sedia lentamente, lisciandosi i pantaloni e sistemandosi i gemelli sui polsi. «Non ha niente contro di noi».
«Oh, quindi per te è tutto apposto e discussione conclusa?» .
«Sì...», rispose con distrazione, ritornando al suo lavoro. Per tutta risposta, sua moglie grugnì rumorosamente, con palese fastidio, e lui le scoccò un'altra occhiata. «Se anche dovesse mettere il naso un po' più a fondo, ci penserà il Generale. Perché preoccuparsi, è solo una ragazzina che gioca a fare l'ispettore privato», borbottò, «Si avvicina Halloween, si starà preparando. Non prenderla troppo sul serio, la conosci».
«Non ho mai voluto conoscerla, Lar, era questo il punto. Non dovevamo permettere che si frequentassero fin dal principio», strizzò le labbra e bofonchiò qualcosa prima di dirigersi alle scale: «Giocherà all'ispettore ancora per poco se rimette piede in questa casa, così potrà fare domande direttamente ai suoi genitori».
Mike fermò Kara ad un braccio, scendendo le scale davanti all'ingresso della casa dei Gand, così fu costretta a girarsi. «Perché non mi hai detto che saresti passata? Ti avrei accolto io... Scusa i miei, sai, sono piuttosto frustrati in questo periodo, il lavoro...».
Lei abbozzò un forzato sorriso, guardando da un lato. Non avrebbe detto nulla a Mike: come avrebbe potuto? Erano i suoi genitori e non importava quanto sembrassero cattivi. «Ultimo periodo?».
Lui rise, inarcando le spalle. «Sì... gli ultimi trent'anni circa. Ah, ho letto il tuo articolo, a proposito! Mi è piaciuto molto», annuì, «Sono proprio contento che tu sia riuscita ad avverare il tuo sogno... Lo hanno letto anche i miei. Ma perché il nome è sbagliato?».
Kara sbuffò. «Sono riuscita a farlo cambiare per le ristampe, ma ormai le prime copie... Lascia perdere. Adesso devo andare, ci vediamo al campus».
Lui la afferrò di nuovo, prima che potesse sfuggirgli. «Aspetta, Kara, devo dirti... che sono ancora innamorato di te. Pensaci, va bene? Non mi devi rispondere ora, solo pensaci», inarcò le narici, facendosi coraggio.
Non era riuscita a dargli una risposta. Aveva aperto la bocca per farlo, ma le parole morirono in gola, sul nascere, e lo aveva salutato. Non riusciva più a guardarlo come prima, forse anche a causa dei suoi genitori e di ciò che stava scoprendo, e sapeva che non si meritava un comportamento del genere a causa loro. Voleva bene a Mike, per quanto litigasse sempre con lui, era stato una parte fondamentale della sua vita. Ma una relazione con lui era impossibile, anche se non fosse innamorata di un'altra persona. Il vero problema restava riuscire a farglielo capire, perché era una causa persa.
«Ti avevo chiesto per favore di aspettare... Se davvero loro sono coinvolti, sono pericolosi», sussurrò Lena accanto a lei, sistemandosi il vestito scuro, più sobrio dei soliti, lisciandolo verso il basso. «Va bene... Come ti sono sembrati?».
Kara non aveva dubbi. «Colpevoli».
Erano davanti alle porte di un locale di lusso, sistemandosi i capelli legati all'indietro e l'abbigliamento prima di decidersi ad entrare, parlando vicino a Ferdinand l'autista, che era in attesa. Lena aveva organizzato parecchi pranzi di lavoro durante quei giorni con futuri collaboratori della Luthor Corp e con quelli attuali, per assicurarsi che i rapporti sarebbero rimasti buoni per lavori a venire, quando l'azienda sarebbe passata completamente a lei. Aveva chiesto a Kara di esserci e lei aveva accettato di buon grado, non mancando di pensare, fosse anche solo un momento, che conoscere persone di spicco l'avrebbe avvicinata a sapere la verità sui suoi genitori. Anche se Lena, da qualche giorno a quella parte, non sembrava più molto convinta della loro crociata.
Lena annuì, prendendo un grosso respiro. «Dobbiamo avvicinarci piano, Kara... Non si scherza con questa gente». Non le avrebbe detto di Lillian e dunque non avrebbe potuto dirle che suo padre era stato ucciso perché voleva portare a galla i colpevoli dell'omicidio dei suoi genitori, di conseguenza non poteva dirle nemmeno che dovevano fermarsi e, in realtà, non le restava che rallentare le cose. Dopo si avvicinò a lei, cercando di non farsi ascoltare da Ferdinand. «Ti bacerei, in questo momento: salvata dalla luce del giorno». Diede a Ferdinand il comando di andare e lui aprì il portone, aspettò che fossero dentro e richiuse, camminando verso la macchina nera parcheggiata a lato della strada.
Le portarono verso un tavolo tondo dove quattro persone le aspettavano. Loro si alzarono per stringere la mano a entrambe e poi si accomodarono insieme.
«Kara Danvers, il mio portafortuna», la presentò Lena ai commensali. Si guardarono in modo intenso, arrossendo debolmente.
«Sì, era sui giornali», disse uno di loro, un uomo corpulento, «La sorella. Una delle nuove sorelle».
Ci risero, cominciando con gli antipasti e versandosi da bere.
Stava iniziando a essere difficile stare da sole per tanto tempo: Lena era sempre più impegnata per lo studio, stava via delle ore per fare da tutor a delle ragazze della sua università, doveva andare alla Luthor Corp per progetti in sospeso e dare direttive al suo assistente e anche Kara aveva lo studio, le lezioni, provare nuovi affascinanti lati della personalità di Siobhan Smythe, per non parlare degli allenamenti con la squadra con il signor Jonzz che sembrava starle particolarmente addosso. Gli unici momenti in cui riuscivano a vedersi erano i pranzi di Lena. E chiaramente non era un vero tempo per loro, ma solo un vedersi e spalleggiarsi. Si mancavano.
Anche Alex si lamentava che non passassero più tanto tempo assieme da quando lei e Lena le dissero di stare indagando sulla morte dei loro genitori. E Kara aveva ricevuto anche nuove notizie da James Olsen, chiedendole di perdonarlo ma che per ottobre non sarebbe riuscito a passare per National City, posticipando per novembre. Le aveva fatto i complimenti per il suo articolo però, e lo stesso suo cugino Kal e Lois. Temeva soprattutto il parere di questi ultimi e in particolar modo del primo per alcuni passaggi in cui parlava della sua famiglia di nascita, ma lui restò vago, dicendole che era fiero di lei. 

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