38 La casa di un politico

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Yoko:
Come riassumere una giornata piena come quella?
Bè era tutto tranquillo fino a quando non bussarono alla porta, poi entrò Keitawa nella mia stanza e da lì capii che le cose non erano più quelle di sempre.
Venni assalita dal terrore e dalle incertezze, come aveva fatto a trovarmi?
Era tutto un bel mistero, poi però quando mi portò in cucina puntandomi una pistola, mi trovai dinanzi Kyo con un coltello puntato alla gola e il fratello che veniva controllato dall' altro suo scagnozzo.
Loro non centravano con quella brutta storia, così lo pregai di non far loro del male e lui disse che non l' avrebbe fatto, poi però parlo con Kyo come se lo conoscesse.
Gli chiese la ragione per il quale mi avesse rapito e poi venne fuori quella dura verità, Kyo era suo figlio, ancora una volta mi aveva mentito.
Sbiancai come un cencio di fronte quella rivelazione, ma non sapevo davvero se infuriarmi se disperarmi oppure potevo rimanere semplicemente indifferente, ma non era facile farlo, perché le mie reazioni in quel momento erano fuori controllo ed erano tante.
Gli urlai contro, me la presi con lui dicendo che io mi ero sempre fidata di lui e che ancora una volta mi aveva deluso, lui mi guardò cupamente senza aver la forza di poter dire qualcosa.
Keitawa se ne accorse e incominciò a dire delle cose insulse e sferzanti sul mio conto, mentre lui gli chiedeva di lasciarci in pace, mentre lui diceva di non poterlo fare perché aveva bisogno di me per la sua carriera politica.
Io davvero non capivo cosa potessi centrare io con la sua carriera politica, ma in quel momento questa era l'ultima delle cose che mi premeva, ciò che mi premeva di più era quella terribile verità.
Osservai suo fratello sembrava rimasto impassibile di fronte ad ogni cosa, mentre Kyo era come me, provava un turbinio di emozioni che non riusciva a controllare.
Dopo un po', Keitawa e i suoi scagnozzi uscirono di casa, io fui costretta a seguirlo per evitare che mi facesse un buco in testa, ma forse quella sarebbe stata la cosa migliore.
Poi pensandoci se gli servivo tanto non avrebbe mai potuto spararmi, però se me ne andavo non gli ero più utile quindi alla fine si quel buco in testa me lo avrebbe fatto, non era di certo uno che si facesse scrupoli per raggiungere i suoi obbiettivi.
Prima di uscire avevo guardato ogni singola parte della casa che riuscivo a vedere, ogni mobile e parete sembrava legata ad un momento o ad un ricordo: Kyo che mi inseguiva ed io che mi nascondevo sotto il tavolo, poi i pasti fatti insieme, Kyo sporco di zuppa e poi la prima volta che mi aveva fatto entrare da quella stessa porta da cui adesso uscivo.
Provai un senso di vuoto, uscendo fuori da quella casa sapendo che non ci sarei mai più tornata e poi pensai alla villa di Keitawa, era lì che sarei dovuta tornare, in quella casa infernale dove Keitawa non faceva altro che infilarsi nella mia stanza nel cuore della notte.
Persi il conto di quante lacrime versai per il dolore e per la paura di dover rimettere piede in quella casa, dove nessuno mi avrebbe compreso pienamente, neppure la mia matrigna per quanto mi volesse bene non capiva quanto dolore quell'uomo mi provocasse e se avessi voluto parlagliene, lei per prima sarebbe morta di choc o di dolore e il mio patrigno mi avrebbe ucciso.
Non capivo davvero come due persone così diverse potessero stare insieme, lei dolce,gentile, sincera e sempre disponibile, mentre lui sferzante, cattivo, falso,violento insomma lui possedeva tutti i difetti peggiori al mondo, eppure quand'era con la mia matrigna avevo come l'impressione che neppure stesse fingendo, era come se lei riuscisse a cavare qualcosa di buono in quell'uomo.
Stavo per salire in macchina, ma poi sentii la voce di Kyo che urlava di lasciarmi stare, ma Keitawa divertito colse tutto ciò come una sfida e disse " Tu mi spari ed io sparo a lei!"
Dopo un po', sentii dei passi che si facevano sempre più veloci, qualcuno sparò contro Keitawa e i suoi scagnozzi, poi mi ritrovai nelle mani di altri individui, ma non sembravano scagnozzi di Keitawa, perché i suoi erano sempre vestiti di nero, mentre questi portavano camicie e giacche di colori variopinti, erano eccentrici e un po' buffi, ma in quel momento non riuscivo a prenderla a ridere perché erano in cinque e armati fino ai denti, mentre Kyo era da solo.
Intimò anche quegli uomini di lasciarmi stare e incominciò a sparare all'impazzata a quelli che erano messi lontano da me, ma non poteva o non voleva sparare a quello che mi stringeva a sé perché altrimenti avrebbe rischiato di colpirmi.
Poi uno da dietro gli tirò un sasso colpendolo in testa, dopo svenne e allora lo caricarono in macchina come un sacco di patate, avrebbero almeno potuto trasportarlo con più delicatezza pensai.
Mentre gli uomini con me, sembravano veramente gentili e disponibili, mi dissero di non preoccuparmi che non avevano cattive intenzioni, ma io non sapevo se fidarmi o meno.
Mi portarono in una villa enorme, mi ricordava vagamente quella del mio patrigno, però lì c'era un'atmosfera più bella e pacifica, poi mi portarono in una bella stanza con un tetto che aveva una cupola d'orata con una stella a 5 punte, rimasi impressionata neppure la casa del mio patrigno aveva le cupole d' orate, poi vidi un letto matrimoniale a baldacchino con le lenzuola e i veli di un blu molto scuro, mentre le pareti a parte la cupola d'orata erano tutte color panna.
C'era anche un enorme televisore ultrapiatto, un computer, una libreria molto ampia e un ampio armadio a muro vuoto.
Rimasi sbalordita, poi notando che fosse vuoto capii che quella stanza inutilizzata, poi mi scappò un risolino pensando "Questa magari è la stanza degli ospiti..." mi veniva da ridere, perché se la stanza degli ospiti era così, non osavo immaginare come fossero quelle dei coabitanti.
Poi mi dissi "Ma che soldi buttati!" e pensare che in altre parti del mondo c'è gente che muore di fame e questi qui hanno una reggia e buttano i soldi per farsi fare un'inutile cupola d'orata, finii persino per sentirmi in colpa perché all'inizio ne ero rimasta affascinata, ma adesso era come se vedessi solo tutti i bambini che pativano la fame nelle altre parti del mondo.
Poi mi soffermai sulle pareti, c'erano anche molti stucchi e specchi e i mobili erano in legno pregiato, ogni minima sciocchezza era sfarzosa e di materiali pregiatissimi.
"Cos'era una casa in stile rococò?" mi chiesi facendo della tagliante ironia.
Dopo un po' vidi entrare un uomo, lo conoscevo o almeno lo conoscevano tutti era l'uomo più ricco di Tokyo, dopo Keitawa e il suo celebre avversario, tutti e due si contendevano l' elezioni presidenziali, ma a guardarli non sapevo dire chi fosse meglio o peggio.
Mi parve un altro Keitawa in carne ed ossa, forse sapeva fingere meglio di lui, ma non mi sarei di certo lasciata abbindolare con tanta facilità da un politico che sa sempre cosa dire o cosa fare in ogni circostanza.
Sapeva fingere talmente bene, da sembrare persino spontaneo nei suoi modi di fare e il suo aspetto aveva qualcosa di familiare che sembrava far crollare il muro difensivo che avevo appena innalzato tra me e lui.
"Yoko...qui non ha di che temere..." disse guardandomi con affetto.
"Non mi chiami per nome...non ci conosciamo neppure" affermai indispettita.
Non lo sopportavo, per quanto cercasse di essere gentile e carino, sapevo che era fasullo quanto Keitawa , ne ero più che certa!
"Scusa, non volevo essere scortese..." affermò dispiaciuto.
"Piuttosto cosa vuole da me?" gli chiesi sospettosa.
"Nulla..." affermò perplesso.
"E magari si aspetta che sia tanta sciocca da poterci credere, gli uomini come Keitawa e lei vogliono sempre qualcosa...non fanno mai qualcosa come tirarmi fuori dai guai senza secondi fini..." esclamai acidamente.
"Non paragonarmi a quell'uomo..." esclamò seccato.
"E riguardo il ragazzo che era con me cosa gli avete fatto?" gli chiesi preoccupata.
"Nulla, gli abbiamo medicato la testa, ora è in un'altra stanza a riposare..."
"E volevo chiederti chi sia quel tizio?" mi chiese con un espressione contrariata e ripugnata.
"Quel tizio, è l' unica persona che mi ha salvato la vita e che mi ha tirato fuori dai guai più volte!" affermai infastidita.
"Si, ma la sua faccia è proprio quella di un delinquentello di strada..." affermò insistendo su quel punto.
"Pensi quel che le pare, può criticare come vuole la gente, ma preferisco quelli che lasciano trasparire ciò che sono e non quelli che lo nascondono bene come lei, che alla fine si rivelano i peggiori in assoluto..." affermai squagliata.
"Io non ti ho fatto nulla, non vedo perché te la prendi tanto con me" affermò lasciando trasparire soggezione per le mie sgarbate risposte, ma ero sicuro che anche quella fosse finta.
"Perchè voi politici siete tutti uguali, tante belle parole, belle promesse e poi alla fine il paese va a rotoli in mezzo a tutta la vostra corruzione e alle schifezze che fate..." gli risposi irritata.
"Ho capito..." affermò rassegnato.
"Ancora non ha risposto alla mia domanda cosa vuole da me?" esclamai furente.
"Te l' ho già detto nulla..." affermò amareggiato.
Guardai i suoi occhi sembravano dispiaciuti e turbati, ma non me la dava a bere, sapevo perfettamente che quelli come lui erano addestrati bene a mentire, chissà magari si esercitava pure con lo specchio per simulare certe espressioni così realistiche.
Dopo un po' se ne andò lasciandomi detto dove si trovava la stanza di Kyo, io allora andai per accertarmi delle sue condizioni, anche se dopo quella dura verità, sarebbe stato difficile fidarmi ancora di lui, però sapevo di doverlo fare perché le bugie che mi aveva sempre detto non si erano mai ritorte contro di me e in fondo non potevo fargliene una colpa.
Non potevo incolparlo del padre che aveva, perché i genitori non si sceglievano ed io lo sapevo bene, nonostante mia madre fosse una brava madre, non era la madre che tutti avrebbero voluto avere, perché il lavoro che faceva era tra i più riprovevoli e a ripensarci me ne vergognavo.
Mi vergognavo di lei, perché non avevo la madre che avevano le mie compagne, una madre in carriera che faceva la stilista o chissà qual'è altro bel mestiere e quando tutti mi chiedevano che cosa faceva mia madre, io rispondevo dicendo la casalinga, dopotutto non era più di tanto una bugia, perché quando me lo chiedevano si riferivano alla mia matrigna, credendo che lei fosse la mia vera madre.
E mio padre se avessi potuto sceglierlo, a quest'ora sarebbe stato lì vicino a me, avrei vissuto con lui e sarebbe stato un padre dolce,amabile e sempre disponibile e non uno dei tanti clienti di mia madre, che aveva fornito soltanto il seme per generarmi
Ecc, perché io non potevo incolparlo del padre che avesse, infatti l' unica cosa che mi sentivo di dovergli rimproverare era il fatto che me lo avesse taciuto, se me lo avesse detto subito forse avrei potuto accettarlo con più facilità e invece adesso sarebbe stato più scioccante e difficile perché lui mi piaceva molto e c'eravamo persino baciati, ma questa verità adesso avrebbe potuto compromettere il nostro rapporto.
Quando me lo ritrovai davanti il cuore incominciò a tamburellare come una tromba, mentre lui rimaneva immobile a fissarmi senza riuscire a dir nulla.
"Come stai?" gli chiesi impassibile cercando di non lasciar trasparire alcuna emozione, tentai persino di fargli credere che glie lo chiedessi così tanto per parlare.
Lui si sfiorò la testa fasciata che doveva ancora dolergli, poi mi osservò confuso chiedendomi cosa fosse successo di preciso, sembrò non far neppure caso alla freddezza con il quale gli avessi parlato.
Lei allora disse "Uno di quegli uomini ti ha tirato un sasso in testa..."
" E sai per caso dove siamo?"
Io feci spallucce, per far capire che non ne avevo proprio idea, anche se una mezza idea ce l' avevo, ovvero eravamo nella casa di quel fastidioso politico,poi lo guardai risentita.
"Perchè non me l' hai detto?"gli chiesi in tono greve.
Lui mi guardò con un espressione addolorata dicendo "Non sapevo davvero come dirtelo"
"Però avresti dovuto dirmelo!" dissi infuriata.
"Si, così ti avrei fatto schifo, più di quanto non mi faccia schifo io..." affermò infastidito.
"Si, però così hai reso le cose ancor più difficili... mi hai ingannato e adesso non so più se potermi fidare di te..." affermai incominciando a piangere.
Si avvicinò a me, ma io indietreggiai spaventata, lui mi guardò preoccupato chiedendomi cosa avessi. Io gli spiegai quello che realmente provavo:"Perdonami, ma adesso...quando ti guardo è come se vedessi lui..."
Era vero, a guardarlo il volto di Keitawa mi tornava alla mente persino la sua voce sembrava la sua, nonostante il diverso timbro e tono fossero diversi, in lui c'era sempre qualcosa che richiamasse alla memoria il padre.
"D'accordo, non mi avvicinò" affermò per calmarmi.
"Sono stati quegli uomini a portarci qui?" mi chiese cambiando bruscamente discorso.
Annui tra i singhiozzi, mentre sentivo il suo sguardo afflitto addosso, questa volta non sarebbe bastato né un abbraccio né una carezza e neppure il solletico a calmarmi, perché la sua vicinanza e il suo tocco mi avrebbe fatto più male che bene.
"Che intenzioni hanno lo sai?" mi chiese serio in viso.
"Non ne ho idea..." dissi dandogli le spalle per non guardarlo in faccia, sapevo che non era sintomo di buona educazione, ma non volevo guardarlo perché i suoi occhi color carbone erano quelli di Keitawa, anche la sua bocca, la stessa bocca che avevo baciato e assaporato con la mia era quella di quell'uomo.
"Gli somiglio molto non è vero?" mi chiese, intuendo la ragione per il quale gli dessi le spalle.
"Si, gli somigli però... se lui non me l' avesse detto non l' avrei mai capito, perché siete così uguali eppure per certi versi così diversi, è davvero strana la vostra somiglianza... anche la tua voce in certi momenti è simile alla sua, sopratutto quando ti arrabbi però la tua sa essere anche molto dolce, mentre la sua non lo è mai..."
"Mi dispiace io..." affermò mettendomi in difficoltà perché non aveva motivo di scusarsi.
Così mi presi di coraggio e mi voltai verso di lui dicendo "Non è colpa tua, non puoi scusarti perché gli somigli..."
Dopo un po' però i nostri discorsi vennero interrotti da un uomo che ci disse di seguirlo, mi guardai intorno percorrendo il luogo corridoio di quella grande casa pensando ancora a quanti soldi avessero sprecato per quel pavimento in marmo pregiato e poi ancora stucchi, addirittura pure gli affreschi, vabbè che pure mio padre ne aveva alcuni però quelli erano immensi e adornavano l' intero corridoio, poi persino le porte dipinte da sembrare dei quadri e non delle vere e proprie porte. Arrivammo dentro un grande studio, dove c'era uno scaffale con dei libri che avevano la copertina in pelle di tartaruga e poi altri oggetti molto preziosi dal quale si capiva che era la casa di una persona importante e allora incrociai lo sguardo di quel politico che stava seduto sulla sua comoda poltrona in pelle.
Il lusso di quella casa traspariva da tutti i lati, ma Kyo non sembrava prestargli molta attenzione, neppure lui sembrava amare quel tipo di esagerazioni, poi però il politico ordinò all' altro uomo di farmi uscire che voleva parlare in privato con Kyo. Mi chiesi che cosa avesse da dirgli che io non potessi ascoltare.
Ma purtroppo rimanendo fuori dalla stanza non riuscivo a sentire bene che cosa si dicessero e l'uomo che mi aveva fatto uscire, notando che avessi attaccato l' orecchio alla parete per sentire bene cosa si dicessero, mi portò via da lì, chiedendomi se avessi fame.
In effetti un po' di fame, ce l' avevo però non volevo mangiare a casa di uno come quello, di sicuro sarebbe stato come mangiare cibo avvelenato, ma dopo un po' lo stomaco incominciò a brontolare e quel corpulento uomo mi sorrise calorosamente, mentre io arrossii di botto per lo strano rumore che aveva fatto il mio stomaco.
"Avanti, andiamo in cucina...poi oggi è il tuo giorno fortunato, la cameriera ha cucinato cinese, ravioli brasati, pollo in agrodolce e tante altre leccornie..."
"Non mi piace il cinese!"mentii più decisa che mai a non mangiar neppure un solo boccone in quella casa.
Poi però mi sembrò di sentire la voce di quell'uomo rimbombare nella mia testa, mi soffermai sopratutto su quel pollo in agrodolce, io ne andavo pazza e poi a casa di Keitawa non avevo mai la possibilità di mangiare cinese, riuscivo a mangiarlo soltanto quando uscivo con le mie compagne di scuola.
Alla fine non resistetti e mangiai, mentre lui rimaneva in piedi e immobile fissandomi attentamente senza perdermi di vista, io nel frattempo su quella grande tavola per venti persone, mi lasciavo servire dalla cameriera che mi sorrideva come se fossi la padrona di casa.

Kyo:

Il padre di Yoko mi guardò amareggiato dicendo " Credo che mia figlia mi odi..."

"Ma se neppure la conosce" affermai storcendo il naso.

"Si, ma da quel poco che siamo detti, non sembro andarle a genio" affermò risentito.

"Mi dispiace" affermai realmente dispiciuto, dopotutto non mi sembrava una cattiva persona.

"Riguardo a quello che ti ho detto prima, porta mia figlia ad Okinawa ...vi ordinerò il biglietto e dei documenti falsi così nessuno capirà che lei è Yoko Keitawa...."

"Aspetti un attimo non mi risulta di aver accettato il suo incarico..." affermai, ma quell'uomo non mi stava neppure ad ascoltare.

Continuava a parlare senza sentire ragioni, pensandoci bene, non lo sopportavo, pretendeva che accogliessi la sua richiesta come oro colato, ma io non avevo alcuna intenzione di diventare il baby sitter di Yoko o comunque accettare soldi per stare con lei, non mi sembrava un gesto molto nobile da parte mia.

Ma per quanto protestassi nulla sembrava fermare quell'uomo che continuava a parlare e a stabilire le cose senza ascoltare il mio parere, così in men che non si dica io e Naoki ci trovammo fuori dalla porta di casa di quell'uomo, seguiti da quell' energumeno che mi aveva condotta in quello studio.

Ci recammo verso casa mia per prendere mio fratello, anche lui doveva ricevere carte false e fingersi un'altra persona, ma quando gli spiegai la situazione non sembrò prenderla bene, poi non so come o perchè finii per rassegnarsi dicendo "Sempre meglio di spacciare droga no?"

Io lo guardai perplesso, mentre Yoko continuava a non capire perchè dovessimo partire e perchè quell'uomo fosse venuto con noi, ma non potevo spiegargli che quel politico fosse suo padre, non mi sembrava corretto doverglielo dire io, era molto più giusto che glie lo dicesse lui primo o poi.

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