8 La coscienza

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Yoko: Finì per piangere,non riuscivo a dimenticare quelle mani che mi toccavano con forza,quella rabbia che provava verso di me,le mie urla e la sua risata del tutto sadica.
Non avevo mai capito perchè mi odiasse,forse perchè non ero davvero sua figlia, oppure non esisteva un reale motivo, ma io tentavo inutilmente di trovarne uno.
Era triste realizzare che qualcuno potesse recarti tanto dolore senza una ragione plausibile.
Ero martire della sua rabbia e della sua angoscia, in fondo il signor Keitawa era un uomo affranto,mi capitava spesso di vedere in lui una certa tristezza, che si confondeva con la rabbia e che finiva per scaraventarsi sugli altri, sopratutto su di me. Io che ero una persona di poca importanza,non ero sua figlia e sua moglie, per tale ragione i miei sentimenti erano insignificanti, quindi ciò lo autorizzava a farmi del male?
Meditabonda com'ero, non prestai molta attenzione al ragazzo che stava di fronte a me.
Le mie lacrime continuavano ad uscire,avrei voluto fermarle,perchè mi sentivo una sciocca che si piangeva addosso, invece di risolvere i problemi, in fondo era più facile e più comodo piangermi addosso, nonostante alimentasse ancor di più il mio dolore.



Kyo:
Era ridotta davvero male,piangeva e singhiozzava,isuoi singhiozzi sembravano non aver fine.
Non sapevo che fare,mi trovavo accorto d'idee,in fondo non era un problema mio.
Continuavo a ripetermelo nella mia mente,ma la mia coscienza mi impediva di fregarmene, così presi dalla tasca un fazzoletto di carta.
Mi avvicinai a lei e glie lo porsi.
Lei allungò la mano per prenderlo,in quel momento si sollevò la manica della sua maglietta:
Il suo polso era rosso,pieno di lividi e graffi.
Lei prese il fazzoletto con cui si asciugò le lacrime e anche il naso gocciolante. mi disse tra i singhiozzi un grazie carico di gratitudine, sforzandosi di farmi un sorriso.
Capì subito che quel grazie non si riferiva solo al fazzoletto, ma anche al fatto che le avevo salvato la vita.
Dopo un po' si riprese,non capivo come ma adesso era serena,mi guardava spensierata come se di colpo avesse dimenticato i suoi problemi.
"Come ti chiami?"mi chiese lei imbarazzata.
Mi suonò come una di quelle domande piuttosto fuori luogo,ma nonostante ciò risposi:"Mi chiamo Kio e tu?".
Ero curioso di conoscere il suo nome,lei mi rispose "Yoko".
Sinceramente non sapevo a che servisse quell' inusuale presentazione,credevo che le nostre strade si sarebbero divise in quello stesso giorno in cui si erano incontrate, invece ciò non avvenne.
Le chiesi ciò che sospettavo da un bel pezzo,"ma sei piccola?"
Rispose titubante "ho 14 anni"con quella voce dolce e flebile.
Forse si era fatta delle idee sbagliate su di me,in fin dei conti con quell'espressione seria e cupa che mi mettevo l'avrei per forza indotta a pensare male.
"Ma tu non dovresti essere a casa? i tuoi non si preoccupano?"Le chiesi.
"Figuriamoci" .mi rispose con amarezza.
"allora sono stati loro a picchiarti?!" gli chiesi impietosito.
La mia domanda la mise a disagio, si limitò a farmi un cenno con la testa.
Ero ormai abituato a sentire certe cose ,per me erano cose di tutti i giorni.
Per uno costrettoa lavorare con gente disonesta era più che normale sentire queste cose.
Purtroppo ero costretto ad averci a che fare ,se volevo mantenere me e mio fratello, e in fondo io non avevo la presunzione di ritenermi migliore di loro.

Yoko:
Il ragazzo scese da quel terrazzo, io lo seguì nonostante avessi paura di lui, una paura che ritenni alquanto stupida visto che mi aveva salvato la vita, ma forse non era stata poi così stupida perché colui che una volta si era dimostrata gentile verso di me ,mi aveva procurato tutto questo dolore.
Per questo motivo avevo smesso di fidarmi fin troppo ciecamente del prossimo.
"Se vuoi posso offrirti un passaggio.." la voce di quel ragazzo era molto fredda e distaccata.
Sembrava quasi che si sentisse costretto ,era come se qualcuno o qualcosa l'obbligasse a farlo.


Kio:

La mia coscienza, che forse in passato non mi aveva impedito di compiere atti maligni, adesso agiva, impedendomi di lasciare quella ragazza in balia del suo spiacevole destino.
Se solo mio fratello fosse arrivato in fretta lei non mi avrebbe posto quella domanda.
Lei scrutò il mio sguardo serio e cupo, che si contrapponeva al suo che era ormai divenuto allegro e spensierato.
Mi fece quella domanda che mi riporto indietro con la mente. "perché sei così serio?".
mi chiese lei con un ' ingenua impertinenza. Quella domanda l'avevo già sentita ,mi suonava familiare, qualcun altro me l'aveva già fatta.
Mi tornarono in mente dei ricordi vaghi ,sentivo delle urla, era una voce femminile che urlava disperata "ti prego non uccidermi!" .
Poi un ricordo attraverso la mia mente un giardino stupendo con degli alberi di mele, il prato era pieno di fiori, inoltre c'era il sole accecante, che mi impediva di vedere la ragazza che stava di fronte a me. Riuscivo a vedere i suoi lunghi capelli corvini ,i suoi occhi puntati su di me e vedevo le sue labbra muoversi, ma non udivo alcun suono.

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