7. Johnson

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Mi mancava, costantemente.
Mi mancava quando guardavo l'alba in Italia. Mi mancava quando leggevo un libro, perché in un modo o nell'altro lei era sempre lì, in una frase, in una parola, in un'espressione. E m'immagino la sua voce che ripeteva le stesse parole, con quel suo accento marcato che tanto amavo.
Mi mancava non ricevere più un suo messaggio. Mi mancava il suo viso, il modo in cui arricciava il naso e quelle sue lentiggini che le riempiono il naso. Mi mancava quando pioveva e faceva freddo, e lei sorrideva felice perché adorava la pioggia, poi però si stringeva a me per il freddo e mi rubava qualche felpa dall'armadio.
Mi mancava sentirla ancora mia. Mi mancava quando pensavo a quello che ero quando stavo con lei, e a quello che non sarei mai più stato. Mi mancava lei, ma mi mancavo anche io. Tra quei sorrisi sereni e quelle risate spensierate. Tra le lacrime, le urla, le litigate. Tra i "ti odio" urlati e i "ti amo" sottovoce. Tra il dolore, la rabbia e l'orgoglio. Ma anche tra la gioia, l'amore e la felicità. Non c'ero più, tra queste cose. Ero un po' vagabondo, un po' perso, un po' nulla. E mi mancavo. Mi mancavo perché avevo bisogno di quel "me".
Mi mancavo perché il vuoto che avevo lasciato quando me ne ero andato non era solo dentro di lei, ma anche dentro di me: nei miei occhi, nella mia bocca, sulle mie mani e sulla mia pelle.
Tutto mancava, da quando mancava lei.
E come potrò mai essere lo stesso senza di lei? Senza i baci sul collo, le passeggiate al campo di basket, senza le corse sotto la pioggia e l'amore fatto in cameretta. Senza le carezze tra capelli, le mani sudate, senza le sue braccia intorno a me e i suoi sguardi pieni di passione. Come sarei potuto tornare a sorridere spensieratamente, se adesso di pensieri ne avevo fin troppi? Se adesso lei era diventata uno di quei pensieri che mi tartassavano la mente, e non una presenza costante?  Mi mancava.
Però io mi mancavo sempre, irrimediabilmente. E nonostante io conviva con questo vuoto da tempo, mi ripetevo che andava bene così. Che sì, faceva male delle volte, faceva male perché le assenze fanno sempre male, perché lei faceva sempre male, qualsiasi cosa faccia, perché le assenze ti logorano, ti consumano, ti lacerano e non c'è via di uscita.
Però andava bene così, perché silenziosamente, segretamente e impercettibilmente lei c'era. C'era la mattina, quando mi svegliavo da un incubo e mi ripetevo che con lei al mio fianco sarebbe andato tutto bene.
C'era a scuola, quando mi passava accanto per andare verso il suo armadietto. C'era agli allenamenti, quando mi ordinava di correre più veloce. C'era la sera, durante le feste. E c'era la notte, incastrata tra le lenzuola e i miei sogni.
Non potevo sentirne il profumo, o la voce melodica, o il calore, né tanto meno la sua pelle a contatto con la mia, ma andava bene così. Perché a me bastava così, mi bastava sapere che una parte di lei era ancora lì, dentro di me, ancorato a quello che eravamo stati e che non saremo più.
Forse non torneremo più quello di un tempo. Forse è colpa mia.
Mi sono sempre ripromesso di proteggerla, di farla vivere, per questo, quella notte, la costrinsi a firmare da ubriaca. Per questo, tre anni fa, sono andato via. 
Era l'unico modo, per farla stare bene. Per guarirla. 

Vederla ora, è come tornare a respirare. E' come colmare tutte quelle mancanze, la sofferenza. Colmare il vuoto della mia vita, nel mio petto.
Ma io vedo come mi guarda ora, con quanto odio e quanta rabbia mi scrutano i suoi occhi, com'è disgustata e ferita, come i suoi occhi sono pieni di dolore e ancora odio.
Non mi perdonerà mai, lo so.
 perché neanche io ci riuscirei. Avremmo potuto farlo insieme, avrei potuto parlare con lei, o con i nostri amici, ma ciò significa che l'avrei messa in pericolo. E io non potevo permetterlo. 
Ma io non mi arrendo, non lo farò mai.
Io la amo. Le dirò la verità, forse non subito, prima devo fare delle cose, ma le dirò tutto.
Le racconterò il perché della mia partenza, le racconterò cosa ho fatto e cosa mi hanno fatto.
E lo so, che prima o poi, tornerò a essere la sua fonte di felicità, come lo ero un tempo e come tutt'ora lei è la mia.

"Dylan ci sei?" Cody mi spintona appena e io annuisco, giocherellando nervosamente con la sigaretta, lasciandomi poi cadere sulla poltrona al loro fianco  
"Ci sarà da divertirsi tutti insieme a Parigi" butta in mezzo il discorso Lincoln
"Potevate dirmi che c'era anche Brad" mormoro esausto 
"Amico, non puoi comportarti così" sbotta Andrew spazzato, e mi rendo conto che da quando sono tornato, è proprio lui quello che sembra avercela di più con me dei ragazzi "Olivia ha sofferto così tanto in questi anni, ha lottato molto ed è riuscita a rifarsi una vita. Ora tu non puoi tornare di punto in bianco e pretendere che ti ascolti" le sue parole sono dure, ma non mi colpiscono, lui non sa nulla 
"Tu non sai niente" 
"Esatto, nessuno qui sa niente perché tu hai fatto tutto da solo" Mi punta un dito contro "Eravamo i tuoi migliori amici Dylan, solo pochi giorni prima ti abbiamo accompagnato dal tatuatone, perchè eravamo la tua famiglia, la tua squadra, ma quanto ci hai messo a voltarci le spalle? Vuoi che ascoltiamo la tua motivazione? No, grazie ho vissuto bene fino ad ora senza di te, posso continuare a farlo" sputa acido, e Cody gli fa cenno di smetterla 
"Non ha senso litigare" sussurra Lincoln grattandosi il capo con fare nervoso "Senti Dy, tu a noi ci hai fatto un torto troppo grande, ma a lei l'hai uccisa. Quindi... dalle del tempo" scrolla le spalle
"Io non volevo andarmene" tuono con voce dura  
"Allora perché l'hai fatto?" 
"Non posso dirvelo, non ancora. Prima devo fare una cosa"
"Fa quello che ti pare Dylan, ma sta alla larga da lei" Andrew è testardo, ma sono contento che mentre io non c'ero, ci sono stati loro con Olivia 
"Non posso" sorrido amaramente "sono tornato per riprendermela e non le starò lontano"
"Perchè le ami?" scoppia. ridere, e mi da i nervi, perchè percepisco la sua ironia in quella frase che per me è la pura verità "L'amavi anche quando le hai lasciato quel bigliettino per poi sparire?" 
 Mi alzo di scatto e lui fa lo stesso, afferro quello che un tempo era il mio migliore amico per il colletto della giacca e lo spintono con rabbia, mentre Cody e Lincoln cercano di separarci. 
"Dylan, credo che per ora devi concederci un po' di tempo, non ci hai neanche spiegato nulla. Non è facile tutto questo, per nessuno di noi" scuote il capo Cody, poggiandomi una mano sulla spalla
 Andrew sospira e ruba una birra dal frigo in cucina, poi torna sul divano e io sulla poltrona, poggiando i gomiti sulle gambe e strofinando le mani nervosamente tra di loro.
"Mi dispiace, per tutto" ammetto "Voglio sapere di voi, cosa ì successo in questi tre anni" forzo un sorriso, ed Andrew mi passa la birra senza guardarmi, ma apprezzo e gli faccio un cenno con il mento mentre l'afferro 
"Siamo cresciuti, siamo entrati tutti insieme all'università e siamo impazziti quando abbiamo saputo che Olivia si sarebbe unita alla squadra" sorride Cody, e gli altri due ridacchiano al ricordo "Questa testa di cazzo di Andrew non sa mai cosa vuole, è follemente innamorato di Madison, eppure non smette di fare il coglione"
"Io non sono follemente innamorato proprio di nessuno" risponde scorbutico il diretto interessato, e scoppiamo a ridere, come se tutti questi anni non fossero mai passati
"Lincoln e Blaire non si scollano mai, sembrano una vecchia coppia" commenta Cody e l'altro lo colpisce sulla spalla "Io e Margaret stiamo bene, lei studia medicina a Boston e ci vediamo ogni fine settimana, è difficile ma ci riusciamo. Daisy è ancora con Mose, Anita è in Australia, ed Eric è la solita testa di cazzo pelata, solo che ora gioca con noi" scrolla le spalle
"Ed è bravo" aggiunge sorpreso Lin
"Grazie agli allenamenti con Hol, giocavano più di otto ore al giorno, è stato estenuante per lui" annuisce Drew 
"Vogliamo parlare di Lucas? E' a Yale cazzo, è entrato con il massimo dei voti, ma ci credete?" sbotta Cody
"Si" esclamavamo in coro per poi scoppiare a ridere
"Manca solo lei ora a quanto pare" mi libero in un sorriso amaro e Cody si gratta il capo nervoso "È stata dura" mormora Andrew
"Dopo quel pomeriggio da Coco's non ha voluto vedere nessuno di noi, neanche Lucas.
Una notte, suo fratello chiamò all'improvviso dicendo che stava male e che la stavano operando d'urgenza. E' successo molte volte a dire il vero, aveva il midollo finalmente, ma suo padre ci aveva già spiegato che per quanto curabile, sarebbe stata ancora più dura. Quando l'abbiamo rivista, diversi giorni dopo, lei era così diversa, sembrava un fantasma. Aveva perso molto peso, era pallida e stanca. Non parlava e si rifiutava di mangiare, John e Hannah non sapevano dove sbattere la testa, erano abituati alla sua testardaggine, ma ormai non prendeva neanche più le medicine, la sedavano e la riempivano di flebo per farla star meglio. Era una continua lotta, insomma. Dopo due mesi in ospedale era tutto pronto, l'hanno operata e il nuovo midollo combaciava alla perfezione, stava bene finalmente . Era guarita" il sorriso fiero sul volto del mio migliore amico, mi scalda il cuore, perchè so che non è mai rimasta da sola, so che loro per quanto teste di cazzo, sono i migliori amici che puoi desiderare in una situazione come quella
Stava bene, era guarita, e quando l'ho saputo il mio cuore si è liberato nell'aria. Tutto aveva senso, tutto era al posto giusto, anche se eravamo lontani, ne era valsa la pena.
È stato facile poi, dopo?" la mia domanda li fa tendere, e lo noto visibilmente 
"E' stato anche peggio" alza le spalle Andrew
"Dylan, Olivia ti amava dal primo giorno che ti ha visto, non ti ha mai detto della sua malattia perchè la sua più grande paura era di perderti, e quando tu hai dato voce e senso ai suoi timori, lei è cambiata. Si è spezzata, e ci è voluto molto tempo prima che rimettesse insieme i pezzi. Non ho mai visto nessuno soffrire in quel modo" scuote il capo Cody, e i suoi ricci biondi si liberano nell'aria "Non sorrideva, fissava il vuoto, non giocava neanche a basket. L'abbiamo vista sorridere solo quando ci siamo presentati da lei, con i capelli rasati, per provare a non farla vergognare della sua testa calva. Doveva ricordarsi che era una guerriera, e che quelli erano solo segni che sarebbero spariti

Suo padre, un giorno venne a casa mia e mi fece radunare tutti i ragazzi del gruppo, ci spiegò che aveva bisogno d'aiuto, ci supplicò di non lasciarla da sola e di aiutarla a superare la tua partenza, neanche lui la capiva più ormai.
Noi non l'abbiamo mai abbandonata, le siamo sempre stati accanto, non perché dovevamo, ma perché volevamo farlo, volevamo starle accanto.
Poi sono successe troppe cose per poterle raccontare. Tuo padre l'ha aiutata molto, Lucas è stato la sua roccia. Ogni volta che stava male solo tuo fratello poteva calmarla"
Sento le parole dei miei migliori amici e capisco che non deve essere stato facile, che mentre io cercavo un modo per sopravvivere senza di lei, lei era piegata dal dolore. Mi addosso tutte le colpe, ripenso a cosa le ho fatto, alla mia promessa di non abbandonarla mai, e ripenso a quel giorno, mentre ero su quell'aereo per l'Italia, in lacrime.
"Come ha fatto Brad ad avvicinarsi a lei?" domando calmo
"Erano amici già da prima della tua partenza a quanto pare, lui le stava accanto e la faceva sorridere, quindi nessuno disse nulla e accettammo la cosa convincendoci che non le avrebbe fatto del male" annuisce serio "pian piano siamo andati d'accordo anche con lui e i suoi amici, poi con la relazione tra Jimmy e Lucas erano sempre con noi inevitabilmente. Olivia poi quando tornò qui a New York sembrava essersi ripresa e-"
"Tornata a New York? Dov'era andata?"
"Ehm..." Andrew lo fulmina con lo sguardo e Lincoln sospira, mentre Cody si pente delle sue parole torturandosi le mani
"Cody, dimmelo"
"Non posso, me l'ha fatto promettere, l'ha fatto promettere a tutti e nessuno ti dirà nulla di più di quello che già ti ho raccontato io" scuote il capo 
"Per ora accontentati amico, e pensaci" mi guarda Lin, e io accetto quel loro silenzio 


Flashback

Martedì, 116 giorni senza di lei. 
"Passami la chiave inglese"
Lascio dondolare la gamba giù dal tavolo dell'officina e fisso le pioggia scendere giù dal cielo, mentre le auto sfrecciano violente sulla pista colpendo l'asfalto alla velocità della luce.
La pioggia mi ricorda lei, il suo profumo mi ricorda lei. 
"Dylan, terra chiama Dylan" mi volto verso mio fratello che mi guarda con la schiena contro il pavimento, mentre sui ganci laterali, c'è retta un'auto del colore del sole che lui sta riparando
"Tieni" gli lancio l'arnese per poi tornare a guardare fuori 
Lo sento sospirare, poi vedo la sua sagoma alzarsi e afferrare un panno dal davanzale, per pulirsi le mani sporche di grasso e olio. Recupera due birre dal minifrigo e me ne passa una, scuoto il capo e lui scolla le spalle riposandola
"Fratellino" si siede al mio fianco, sorseggiando la sua lattina di birra, mentre fissa le auto che corrono sulla pista, sotto la pioggia "Oggi gli allenamenti dureranno più del previsto, tra poco inizieranno le gare" sorride e io non rispondo, non sapendo cosa dire 
Il mio telefono vibra al mio fianco, e quando leggo il nome di mia madre sospiro per poi ignorarla, tornando a guardare fuori svogliatamente. 
"E' molto preoccupata per te, anche papà lo è" lo sento mormorare, e il mio silenzio questa volta apre dargli fastidio "Senti Dylan, ma che cazzo è successo? E' da quando sei venuto qui che sembri un morto, non ti ho mai visto così e non so come aiutarti" 
"Non mi serve il tuo aiuto Edward, restane fuori" 
"Però ti serve il mio divano" mi fa notare sarcastico
"Domani cercherò un'alloggio, così non ti darò fastidio"
"Sai che non intendevo questo..." sospira rassegnato "Fratello puoi restare da me tutta la vita se vuoi, ma lascia che ti aiuti. Sono mesi che sei fermo, immobile, sei morto Dylan, e la tua famiglia non sa perchè" 
Che senso ha la vita, se non ho lei con me?
Guardo mio fratello e sento il peto stringersi nel petto, sotto il suo nome. Giocherello con il codino di Hol che porto al polso, che le ho rubato in ospedale, mentre mio fratello maggiore mi supplica di aprirmi, almeno con lui 
"Restane fuori" sibilo duro 
"No cazzo" mi scuote, e io mi alzo per fronteggiarlo, non avendo paura di lui "Ora basta con il silenzio, tu adesso mi dici che cazzo ti prende e che ci fai in Italia da me. Sei arrivato a Roma mesi fa senza dirmi nulla, e credimi puoi restarci tutta la vita fosse per me, ma hai mollato la scuola e i tuoi amici senza dire niente, non hai dato spiegazioni neanche ai nostri genitori che soffrono a causa tua. Fa l'uomo Dylan, reagisci" mi afferra per il colletto della felpa e io lo scosto con un gesto brusco 
"Non avevo dove andare" giustifico la mia permanenza qui 
"Perchè lasciare New York, allora? Credevo ti fossi innamorato di quella ragazza"
"Io l'ho persa Ed. Si, io la amo, ma l'ho persa" sono disperato, perchè non so più come si faccia a vivere 
"Dylan" mio fratello mi guarda con un cipiglio preoccupato, preparandosi al peggio "Ma allora cos'hai combinato? Perchè sei scappato qui?" 
"Era l'unico modo per guarirla" 


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