𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟏𝟖-𝐀𝐯𝐫𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐮𝐭𝐨 𝐬𝐚𝐥𝐯𝐚𝐫𝐥𝐚

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Oggi è lunedì e mancano precisamente 5 giorni alla fine della punizione con Sidney.
Non mi mancherà di certo pulire quell'aula ogni giorno, ma mi mancherà in un certo senso quel lato di lui con cui iniziavo a trovarmi bene.

Non so se mi spiego, ma nonostante lui sia la persona più stronza che io abbia mai conosciuto in vita mia, non riuscirei mai ad odiarlo sul serio.

Come sempre sto camminando per raggiungere l'aula di musica.
Quando entro non mi faccio sentire e chiudo la porta con cautela.
Sidney è sdraiato su un banco mentre lancia in aria una pallina.
Sulla lavagna c'è scritto
«Bestiaccia sei in ritardo»

Cerco di trattenere una risata, mi avvicino a lui e gli urlo nell'orecchio
"Boo!" lui salta in aria
Si massaggia l'orecchio mentre io scoppio in una risata sonora.
"Porca puttana!"
e con quell'esclamazione la mia risata si fa sempre più forte.
"Sei una bestiaccia morta, lo sai vero?"
"Uhh che paura" dico con le mani in alto.

Lui corre verso di me e per un secondo temo il peggio.
Mi prende dalle gambe e mi carica sulla sua schiena e dopodiché non posso fare altro che lanciare un urlo.
Io inizio a dimenarmi e mandare calci sul suo petto ma lui sembra non accorgersene.

"Sidney mollami, soffro di vertigini"
è una cazzata, e mentre la dico non posso fare a meno di ridere, perché intanto ha iniziato a farmi il solletico sui fianchi.
Esce fuori dall'aula.
"Ti porto a fare un giro" afferma in una risatina.
"Te lo puoi scordare, Colins, lasciami ora, ti giuro che se non mi molli.."
Lui mi lascia e mi fa rimettere i piedi per terra.
Ora ci troviamo davanti a degli armadietti, sul corridoio che porta all'uscita di scuola.

Lui mi mette una mano vicino alla testa e io mi appoggio con la schiena agli armadietti sentendomi come in trappola.
"Dai ammettilo che saresti voluta uscire di qui, chi ce lo fa fare a rimanere, possiamo benissimo andarcene" sussurra lui con voce roca.

Sento le mie guance infuocarsi sempre di più mano a mano che si avvicina al mio volto.
"Ma..insomma noi...dobbiamo mettere a posto l'aula" sussurro
Lui resta immobile per un minuto a fissarmi negli occhi e poi leva la mano che aveva messo vicino alla mia testa.

Si gira e inizia a camminare verso l'aula.
"Hai ragione, diamoci una mossa"
entra nell'aula con fare quasi scocciato.
Cosa avrei dovuto fare?
Non ci so fare in queste situazioni, ma al solo sentire della sua voce così vicino a me mi è venuto il batticuore.
Rientro nell'aula e lo trovo mentre fuma una sigaretta.
"Sidney posso farti una domanda intima?"
le parole mi escono di bocca senza che io lo voglia, ma questa domanda che ho in testa mi sta tormentando.

Lui gira di scatto lo sguardo su di me.
Fa un tiro con la sigaretta e dopo che tutto il fumo è uscito dalla sua bocca mi risponde con un semplice "Si"
Sono titubante, perché non so se porgli questa domanda e rischiare che anche lui la faccia a me.
"Posso sapere come è morta tua madre?"
chiude gli occhi e si passa una mano sul viso.
Spegne la sigaretta spiaccicandola sul banco.
"Vieni qui" mi indica la panca sulla quale è seduto.
Io mi ci siedo e stavolta non tengo le distanze da lui, ma bensì mi ci siedo quasi troppo vicino.

"Devi sapere che mio padre era un tipo violento, sono cresciuto male, è per questo che ora sono così"
Mi fa male solo a sentire quelle parole, posso percepire il dolore durante tutti questi anni gli è passato addosso, e quasi non lo biasimo se è diventato uno stronzo.
"Un giorno, all'età di 15 anni, tornai a casa e trovai un'ambulanza fuori da casa mia.
Oltrepassai il nastro fregandomene dei poliziotti che mi ordinavano di non farlo"
Vorrei piangere ma mi trattengo.
"E poi li vidi, mia madre su una barella di ospedale, coperta di sangue, e l'uomo che ormai non posso più chiamare padre si trovava dentro una macchina di polizia"

Abbasso lo sguardo e istintivamente prendo la mano di Sidney e la stringo forte.
Lui rimane un po' senza parole ma dopo poco continua a parlare.
"Capii subito cosa era successo, a quell'età ero ribelle: già fumavo e bevevo, non davo mai retta a mia madre e a volte le dicevo anche che la odiavo.
Non mi sono mai reso conto di quello che avevo e di tutto quello che lei facesse per me, fino a quando non è morta."
La prima lacrima mi attraversa il viso.
In effetti è proprio così, non ci accorgiamo mai del valore delle cose fino a quando non le perdiamo.

"Scoppiai in lacrime e corsi fino alla macchina dove c'era mio padre chiuso dentro.
Sferrai pugni e calci alla portiera e nel mentre gli urlavo le peggio cose quando in realtà la colpa più grande l'avevo io: per non essere mai stato un figlio collaborativo.
Avrei potuto salvarla, ma ero troppo occupato a fare cazzate."

Lui gira il capo e nota le mie lacrime.
Con il dito me le asciuga una ad una.
"Adesso tocca a me parlare.."
Non lo avevo mai fatto con nessuno, non avevo mai raccontato della morte di mio padre.
Ma ora sono certa che questo è il momento giusto per farlo...

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