IL POTERE DEL FUOCO

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Cammino con la stessa lentezza di prima, cerco di non girarmi per nessun motivo, provo a non incontrare più nessuno nemmeno con lo sguardo.

Sono stanca di tutto e di tutti. Farò in modo di non essere salvata, farò in modo di morire solo per non dare loro la soddisfazione di usarmi come cavia per un esperimento.

Alla fine la tentazione di voltarmi vince sulla mia buona volontà e guardo un'ultima volta verso quella finestra. Incrocio degli occhi azzurri: quelli di Hale.

Mi sta guardando. Non appena recepisco questa cosa mi metto a correre senza fermarmi e senza controllare se mi stia seguendo o meno.

Non voglio passare quest'ultima notte nella sede dei Pentiti.

Aspetterò che si facciano le due di notte, poi darò un ultimo bacio a Royce e andrò a consegnarmi direttamente a Lucifero, come è giusto che sia.

Non appena mi rendo conto di essere in pieno bosco mi fermo per riprendere fiato, poi salgo su un albero, anzi, sul mio albero, quello col nastro argentato avvolto al tronco.

Mi lego col moschettone e mi appoggio alla corteccia con la testa. Rimango lì a guardare il tramonto, a guardare l'arancione che abbandona questo cielo per raggiungerne un altro.

Quando al di sopra di me vedo solo blu scuro con qualche chiazza grigia prendo la mia scatoletta di tonno, butto l'olio per terra con noncuranza, e ne mangio il contenuto.

Sento dei rumori che provengono da sotto e guardo verso il basso. Quello che vedo mi stupisce: ci sono degli uccelli radunati che beccano ripetutamente il punto in cui ho fatto finire tutto l'olio.

A quel punto mi viene un'idea: afferro dallo zaino una freccia e la balestra, per poi chiudere un occhio come faccio sempre quando devo prendere la mira, e scoccare una delle mie amate frecce nere.

Colpisco uno di quegli uccelli, mentre tutti gli altri volano via facendo versi acuti e spaventati.

Sogghigno appena e slaccio il moschettone per scendere e recuperare la preda. Estraggo la freccia dal suo piccolo stomaco sanguinante e sorrido di nuovo soddisfatta, andando a cercare un punto nelle vicinanze con pochi alberi.

Una volta trovato il posto che cercavo inizio a posizionare foglie secche, rametti e gli aghi di pini in un punto ben preciso ed esco dalla tasca l'accendino blu, dando poi vita a una piccola fiamma.

Una fiamma che sento mia, che sento agitarsi dentro di me, oscillando ripetutamente senza mai riuscire a stare ferma e dritta.

Avvicino la fiammetta alle foglie secche e creo il contatto con una di loro.

Improvvisamente la mia piccola fiamma dà vita ad un'altra più grande di lei, che pian piano comincia a espandersi e a crescere finché non vedo del vero e proprio fuoco padroneggiare nel bosco con quel suo rumore divino e scoppiettante.

Vedo il potere dentro quella fiamma ormai grande e possente, vedo la forza pura dentro quelli colori.

Ne rimango incantata e resto a fissarlo per non so quanto tempo mentre cresce e si alza liberandosi nel cielo.

Smetto di fissarlo solo quando sento di avere ancora fame, allora infilzo con un bastone il corpo di quel povero pennuto che non mi fa poi così tanta pena.

Lo avvicino al fuoco e comincio a strofinare il pollice e l'indice messo in posizione parallela sul bastone, cercando di farlo girare e far arrostire così la mia cena.

Credo di star diventando cinica e la cosa non mi dispiace affatto, anzi, mi fa sentire più forte e sicura di me.

Nel frattempo butto altri legnetti e foglie secche nel fuoco, alimentandolo sempre di più.

LE CITTÀ NEMICHEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora