Capitolo 26

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Palisade Avenue regalava un magnifico panorama ai suoi residenti, alle prime luci dell'alba. Circondata da alberi e vegetazioni, le ville dei più illustri Signori della zona si trovavano proprio lì, protette da mura alte e cancelli. Proprio alla fine di un sentiero, si trovava una casa abbandonata, quella che Cameron Mendel aveva rifilato a Samuel Putnam. Silenziosa, discreta, perfetta per chi doveva nascondersi da qualcuno o da una possibile spia. Neanche i ragazzini si avventuravano lì, troppo terrorizzati dalle storie raccontate dai loro genitori. Neanche lui, se fosse stato ancora un bambino, si sarebbe avvicinato minimamente in quel territorio che minacciava di cedere da un momento all'altro.

Una grande hall era avvolta dall'oscurità, con un tappeto logoro ai piedi delle scale che conducevano al piano superiore, che ricordava vagamente un colore rosso cardinale che, con gli anni e l'abbandono, aveva assunto una tonalità nera, quasi gotica. Un po' come il colore della branda dove dormiva, al piano di sopra. Era quella usata dai marines durante le missioni, all'origine di un bianco immacolato... ora era un misto di sangue secco e macchie di caffè, rendendo il colore un avorio sporco, simile al marmo. Le assi di legno dell'intera residenza, poi, erano rotte. Persino un gradino, uno degli ultimi, mancava. Ogni volta che doveva recarsi al piano di sopra, Samuel era costretto a saltare una voragine larga ben 40 cm. Niente che non potesse affrontare, ovviamente, dopo anni passati nei marines. Non c'erano mobili. Nessuna tappezzeria, nessuna sedia, niente di niente. Tutto ciò che era presente lì dentro, l'aveva portato lui... o gli era stato portato da Cameron stesso.

Da quando era arrivato a stabilirsi lì, Samuel non aveva mai notato davvero quei particolari. Semplicemente si accontentava. Pensava di essere stato graziato da una divinità religiosa, pensava di dover essere riconoscente di essere ancora vivo, pensava di tornare dalla sua famiglia e dalla sua fidanzata... aveva pensato a tante cose, tranne alle conseguenze.

Seduto per terra, con le gambe tirate al petto come un bambino che era stato messo in castigo, con alle spalle una tapparella da dove entravano flebili spiragli di luce, Samuel Putnam aveva annullato ogni tipo di pensiero. Aveva passato gran parte della notte così, in silenzio. La tetra oscurità non lo spaventava più, neanche il dondolio del lampadario sopra la sua testa, dalle candele consumate. Nel suo cervello, continuava a ripetersi la scena della sfuriata di Raissa, quando era scoppiata come un fiume in piena, urlandogli contro tutta la sofferenza e il male che aveva dentro.

Era stato egoista, se lo vedeva dal suo punto di vista, ma... proprio di suo fratello doveva incapricciarsi? Insomma... Riverdale era piena di giovani che sarebbero caduti ai suoi piedi al solo sciocco delle dita. Perché doveva essere stato proprio Leonard a consolarla? A farle riscoprire un amore che credeva aver perduto?

Samuel si rimproverò, ancora una volta. Avrebbe voluto dormire. Per sempre. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e non svegliarsi più. Una smorfia amara si impadronì del suo volto bianco.

Tanto valeva restare morto.

Come se il destino fosse in disaccordo con il suo pensiero, Sam alzò di scatto la testa in direzione della porta, sentendo questa essere spalancata e il sole colpirlo in pieno viso. La polizia l'aveva trovato? Aveva scoperto che era vivo? No, certo che no. Non sarebbero entrati così di botto. Avrebbero atteso la notte.

Quando Sam riuscì ad assemblare, come un mosaico complesso, il volto della persona che aveva davanti, non riuscì a trattenere un sorriso triste, issandosi in posizione eretta. Era più magro, aveva le occhiaie scavate e aveva la classica espressione di chi non viveva sereno.

"Samuel." Mormorò Amelia, coprendosi la bocca con le mani. Per tutto il tragitto aveva tenuto la bocca chiusa, beccandosi spesso un'occhiata preoccupata da parte del marito. La realizzazione di un sogno che credeva impossibile era un'emozione indescrivibile. Se poi si trattava di suo fratello, beh... l'emozione cresceva a dismisura.

Quante gocce nel mio mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora