Capitolo 34

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"Non puoi ribellarti agli eventi, né cambiare il destino. E quando si tratta di me tendo ad essere abbastanza scettica sui miracoli, essendo stata sempre molto sfortunata." Le parole amare scivolano fuori dalla sua bocca come un fiume in piena, incontrollate.

"Io non credo più alla sfortuna. E lo sai perché? Perché in questo mondo ci sei tu."

Raissa chiuse gli occhi con forza, impedendo a sé stessa di piangere. Ma qualche lacrima, come spesso succedeva in quei casi, scappava sempre al suo rigido controllo. Specialmente quando si imponeva di scappare, almeno con la mente, e di rifugiarsi in qualche ricordo felice. E in tutti, trovava Leonard. Leonard che era amorevole e premuroso, che le donava Golden Falls come regalo di Natale. Loro che facevano l'amore per la prima volta, che si promettevano l'un l'altro di sopravvivere alle rispettive assenze.

"Se... ti dovesse succedere qualcosa, io non riuscirei a sopportarlo."

E tutt'ora, infatti, Raissa si meravigliò di come riusciva ancora ad incamerare aria nei polmoni, di come la sua mente continuava a rimanere inchiodata a quel letto di quella maledetta villa, prigioniera di un nemico tedesco della peggior specie.

Ogni volta che Raissa apriva gli occhi, ogni volta che respirava, ogni volta che piangeva, si chiedeva quando sarebbe durato. Quando sarebbe arrivato il momento in cui, stanco di sfogarsi, quel tedesco l'avrebbe uccisa. Voleva questo, più di ogni altra cosa. Voleva morire e raggiungere il suo Leonard in un posto pacifico, lì dove non c'erano guerre, non c'erano sparatorie, non c'erano militari in missione. Un posto dove poter riposare insieme e dove erano soltanto loro.

La realtà, però, era ben diversa. Nell'incubo che stava vivendo, Raissa sentiva costantemente la presenza del tedesco incombere su di lei. Ogni sera arrivava, si spogliava e la possedeva. Aveva ordinato ad una donna di occuparsi di lei, affinché avesse dell'acqua per lavarsi e un vestito per coprirsi. Color panna con un nastro rosa dietro la vita, a maniche lunghe merlettate di bianco. Si stupì, quasi, quando aveva visto entrare quella ragazza e aiutarla a vestirsi. Del resto, era molto più pratico per bestie come quel tedesco. Li bastava entrare e alzarle la gonna, arrotolandola fino alla vita, per poi sfogare lo stress animalesco che lo inghiottiva, giorno dopo giorno.

A volte, dopo aver finito, si girava di lato dall'altra parte del letto, senza mai degnarla di uno sguardo, né toccarla. E Raissa fu davvero grata all'Altissimo di questo. Aveva provato a ribellarsi, ma si era guadagnata solo schiaffi in pieno viso, rendendolo più rosso e leggermente più gonfio sulla destra.

"Per essere di sangue giudeo, sei abbastanza docile." Commentò lui, mentre era intento a rivestirsi.

Raissa, però, fece come sempre. Lo ignorò. Sapeva che non si aspettava una sua risposta, come se stesse parlando ad un muro, ad un manichino. E lei, in quel momento, avrebbe tanto voluto trasformarsi in qualcosa di inanimato, non provare dolore, tristezza, solitudine. Si pentì di aver lasciato Riverdale, di aver anche solo sperato di poter giungere in mezzo alla guerra senza essere sfiorata dalla furia nemica.

La porta della stanza cigolò appena, manifestando la presenza di una terza persona. La ragazza che veniva solitamente a farle visita per lavarla, vestirla e portarle da mangiare. Non sapeva il suo nome, ma riconobbe in lei un viso aggraziato, dolce, fin troppo per essere la complice di quegli assassini.

"Che c'è, Paulne?" Chiese, leggermente infastidito nel tono di voce, il tedesco mentre si rimetteva a posto la camicia. Pronto per tornare ai suoi doveri per mettere in ginocchio i francesi.

La ragazza si inumidì le labbra in un gesto che sarebbe sembrato, a tutti, come nervoso. Tuttavia, mantenne lo sguardo fisso sul tedesco e parlò. "Comandante Wagner, il feldmaresciallo mi ha detto di dirvi di raggiungerlo nella sua abitazione. Il principe ereditario, Guglielmo di Prussia, è qui." Lo informò la ragazza come una brava sottoposta.

Quante gocce nel mio mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora