Capitolo 40

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La punta del naso si mosse lentamente, arricciandolo subito dopo. Nelle narici le penetrò uno strano odore, molto simile al formaggio avariato e alla polvere da sparo. Non proprio gradevole, ecco perché Raissa si svegliò con una espressione disgustata in volto. Non le ci volle molto per scoprire dov'era. Ancora un poco assonata e con gli occhi chiusi, la russa ripassò mentalmente le ultime ore di viaggio.

Doveva essersi addormentata tra le braccia del sergente quando, dopo la prima pausa, si erano rimessi in marcia per raggiungere Fort Douaumont, l'imponente fortezza francese occupata da gran parte dell'esercito di Joseph Joffre. Non c'era posto più sicuro nell'intera Francia. Questa era la frase che aveva usato il sergente Nicolas Fournier, poco prima che si addormentasse come un ghiro.

La stanchezza aveva avuto la meglio, anche se doveva essersi resa abbastanza ridicola per crollare dal sonno in quel modo, all'improvviso. Benché avesse male al petto quando respirava, riusciva facilmente ad addormentarsi.

Ed ora doveva essere lì, nel forte, sotto la protezione dell'esercito francese. Ricordava che era stata una notizia ad aver contribuito a far riaccelerare i battiti del suo cuore in breve tempo. Il suo Leonard era vivo! Ed ora era certa che non poteva trattarsi di una notizia falsa. Perché il rumore di una sedia di legno, che veniva spostata pesantemente, la mise in allarme e quando, istintivamente, rialzò il volto verso quel rumore, lo vide. Il suo Leonard era vivo ed era proprio accanto al letto dov'era distesa.

Raissa non ci pensò un secondo di più. Scese dal letto e lo abbracciò, incurante dei dolori in tutto il corpo, nel viso e nella fase respiratoria. Non doveva avere una bella cera e quella, come aveva immaginato, era stata una delle prime cose che aveva notato Leonard quando aveva visto il sergente Fournier trasportare in braccio la sua Raissa, completamente addormentata.

Con un gesto brusco, meno di quanto volesse, Leonard allontanò la donna da sé e la guardò negli occhi, fulminandola con lo sguardo. "Ora mi dici come diamine ti è passato per l'anticamera del cervello di venire qui!" Esclamò, visibilmente arrabbiato. Ora sapeva del perché, le lettere che mandava, non avevano mai risposta. E Cameron, poi! Come aveva osato mentirgli fino a quel punto? Sapeva della venuta di Raissa in Francia? Lasciò perdere per un istante il cognato. Ci avrebbe pensato più in là, quando sarebbe tornato in America.

Colpita dal suo tono duro, Raissa abbassò lo sguardo. "Io... mi dispiace."

Leonard sospirò, alzando il volto della donna verso di lui e costringendola a guardarlo negli occhi. "Che cosa ti è successo? Chi ti ha combinato in questo stato?" Chiese, quasi in un sussurro. Sentiva la collera salirgli fino al cervello, annebbiandogli la vista. La rabbia. Era stata la prima cosa che aveva provato quando aveva visto in che stato era conciata. Quei graffi, quei lividi violacei, quel volto gonfio.... chiuse gli occhi, respirando lentamente.

"Leonard, io..." Raissa fu incapace di formulare qualsiasi pensiero, qualsiasi frase che avesse un minimo di senso o che potesse, nelle sue capacità, riassumere l'inferno in cui era caduta in modo ingenuo. "Non volevo. Non volevo! Te lo giuro, Leo! Non volevo!" Esclamò infine la donna, quasi urlando, mentre le lacrime presero a salirle nuovamente agli occhi.

Il tenente Putnam si sentì completamente impotente. Tirò a sé la donna, facendola sfogare sul suo petto, mentre le accarezzava i capelli. Aveva compreso che quei segni non erano stati fatti così, tanto per farli. Aveva compreso che la sua Raissa aveva attraversato il girone infernale più crudele di tutti, pur di raggiungerlo. E lui era solo capace di attaccarla. Ma la rabbia che provava non era certamente rivolta a lei, alla donna della sua vita, ma a chi aveva osato metterle le mani addosso, a chi aveva osato approfittarsene. Voleva un nome, solo quello. Avrebbe setacciato l'intera Francia pur di trovarlo e farlo fuori.

Quante gocce nel mio mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora