Capitolo 44

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25 febbraio 1916, ore 08:30 del mattino, Spincourt...

Non c'era alba che non potesse giungere e non c'era cielo nero che potesse durare in eterno. Con gli occhi chiari fissi fuori dalla finestra, cerchiati di nero come testimoni di una notte passata insonne, Amelia Putnam Vom Mendelson osservava come il cielo cambiava colore. La violacea alba che la salutava aveva lasciato, da qualche ora, spazio ad un manto azzurro senza nuvole bianche. Anche se in lontananza, verso Fort Douaumont, si colorava di un lieve e tetro grigio pioggia.

Gli eventi dei giorni precedenti iniziarono a manifestarsi nel viso della ragazza, nel suo corpo. Dentro di sé, Amelia, si sentiva come invecchiata di botto di almeno sei o sette anni. Aveva pianto, anche troppo per una ragazza della sua età che avrebbe dovuto pensare solo a divertirsi come tutte le sue coetanee. Era rimasta in quella posizione per gran parte della notte, anche quando aveva visto un fumo innalzarsi fino ad arrivare sopra i vetri della sua finestra, seguita da una terribile puzza di carne bruciata. Carne umana. Allora si era affacciata e aveva visto la fossa colma di cadaveri essere presa d'assalto dalle lingue di fuoco create da suo marito. In mezzo a loro, anche il corpo di Samuel era bruciato. Amelia non era riuscita a vederlo dalla sua angolazione e, probabilmente, era meglio così. Aveva eseguito alla perfezione il segno della croce e aveva detto una preghiera per lui, per tutte le vittime che quel conflitto mieteva giorno dopo giorno.

"Amelia?"

Seduta sul letto e ancora vestita con i panni maschili, la ragazza si voltò di poco verso la porta per osservare Cameron sulla soglia. Vestito di tutto punto con l'uniforme militare tedesca, con l'aroma di lavanda che si spigionò per la stanza.

"Dimmi, Cam." Disse con tono privo di emozione, alzandosi quasi a fatica dal letto. Sentiva la necessità di lunghe ore di sonno, ma aveva anche paura a chiudere gli occhi. Aveva paura di rivedere Samuel, a terra, in una pozza di sangue.

"E' tutto pronto. Possiamo andare." Dichiarò il soldato, senza troppe cerimonie. Perché un corteo simile, li stava già attendendo al piano inferiore.

Amelia non disse nulla e si limitò a seguire Cameron fuori dalla stanza e, in seguito, giù per le scale della fortezza di Spincourt. Aveva ancora la camicia sporca di sangue e, con le forze che aveva, a malapena era riuscita a lavarsi diverse parti del corpo. Ma non avrebbe mai indossato un vestito, non avrebbe mai accettato nessun regalo da quella massa di assassini dagli occhi sorridenti e le smorfie ironiche. Alcuni di loro, infatti, li stavano attendendo fuori, nell'aria satura di polvere da sparo e sudiciume.

Allineati in due fila, una a destra e una sinistra, aprivano a loro il passaggio verso il biplano della ragazza, che era stato condotto fin dentro le mura di Spincourt e riempito di carburante. L'essenziale per raggiungere Berlino.

Amelia dovette reprimere un conato di vomito quando, avvicinandosi al suo biplano, vide ad attenderli Wagner e Schmid. Entrambi avevano in viso un'espressione compiaciuta, soddisfatta, come se non fosse successo niente. Quando Cameron vide la moglie indurire i lineamenti del viso, d'istinto le prese la mano e la strinse.

I loro sguardi si incrociarono poco prima di arrivare accanto al biplano. Gli occhi del soldato imploravano di tacere, qualsiasi cosa sarebbe stata detta. Quelli di Amelia erano privi di preghiere o di emozioni. Sembravano vuoti, stanchi. Una stanchezza ben giustificata dagli eventi.

"Paulne non vi ha fatto avere dei vestiti puliti, Signora?" Indagò falsamente interessato Wagner, indugiando con lo sguardo sugli abiti della ragazza.

Amelia staccò lo sguardo dal marito per piantarlo in quello del capo della polizia segreta tedesca, e con un gesto secco, divise la sua mano da quella di Cameron, avanzando nella direzione di Wagner con la testa alta, fiera.

Quante gocce nel mio mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora