Si guardava allo specchio quasi ogni giorno, per un totale di quattro, da quando si era trasferita in quella casa. Dalla sera del suo matrimonio.
Amelia si era ritrovata a pensare a come volasse il tempo quando si era felici, quando non si avevano obblighi o doveri. Sembrava soltanto ieri che giacesse nel suo letto, insieme al marito, reduci di una passione improvvisa, provocata dalla notizia della partenza di quest'ultimo per la Francia.
Come da copione, Cameron non disse nulla alla moglie circa il piano. Le rifilò la scusa di una missiva, ricevuta in modo urgente dalla base militare di New York che lo invitava a rientrare al comando per l'imminente partenza. Sembrava che i francesi avessero bisogno di più uomini. Amelia, a capo chino sul piatto che la invitava a cibarsi di ciò che aveva dentro, annuì senza dire una parola. Finse un dispiacere, anche se più di tanto non doveva sforzarsi giacché dispiaciuta lo era davvero. Dispiaciuta, affranta, preoccupata, ma anche tradita. Amelia non riusciva davvero a comprendere del perché Cameron la volesse tenere fuori da tutto quello. Parlava di persone, di metodi che usavano contro i probabili traditori. Le stesse persone che avevano voluto la morte di Samuel ed erano state accontentate con una menzogna architettata ad opera d'arte.
Amelia avrebbe voluto guardare negli occhi ognuno di loro, esattamente come si guardava lei nel riflesso dello specchio. Senza quei assurdi giochi di potere, nulla di tutto ciò sarebbe successo. Leonard non si sarebbe mai arruolato, Samuel non avrebbe mai dovuto fingere di essere morto, e forse lei non avrebbe mai conosciuto Cameron Mendel. Non l'avrebbe mai sposato, non avrebbe mai conosciuto la sua vera storia. Ma, alla luce di tutto ciò, continuava a porsi un quesito che la gettava in un alone invisibile di tristezza: ne era valsa la pena?
Cameron non mi ama. E forse non mi amerà mai. Il suo più grande crucio, la sua più grande tortura, era proprio la verità delle cose che la circondavano. Facevano l'amore, si amavano in un modo carnale... ma non gli aveva mai detto davvero quella parolina magica. Quella che fa sciogliere il cuore di ogni donna.
Ti amo.
Amelia chiuse gli occhi con forza, davanti allo specchio, lasciando che le lacrime bagnassero il suo viso.
"Mrs. Mendel?" Una voce oltre la porte del bagno, femminile, interruppe i suoi pensieri.
Senza far incrinare troppo la voce, Amelia riaprì gli occhi, asciugandoli. "Sì? Cosa c'è, Dorotea?"
"Il signor Mendel sta partendo. Mi ha pregato di avvisarvi. È nella Hall che vi aspetta."
Lelia curvò di poco l'angolo destra della bocca all'insù. "Grazie. Scendo tra un secondo."
Quando avvertì i passi della domestica personale allontanarsi, la giovane fece un respiro profondo. Non sarebbe mai stata sottomessa a nessuno, benché meno a suo marito, con tutto che poteva provare per lui un forte sentimento.
Allungò una mano per prendere un coltello affilato, vicino al lavandino, quello che generalmente usava Cameron per radersi. Con la mano libera prese un pugno di capelli biondi, che negli anni si erano schiariti e allungati ancora di più, e prese a sfregare forte la lama contro le ciocche. Fino a quando, in due pugni, parte dei capelli non cadde al suolo.
Lacrime e singhiozzi accompagnarono quel rito purificatorio che sapeva di un nuovo inizio. Un inizio che sapeva solo lei. Solo di una cosa, Amelia, aveva la certezza: non avrebbe lasciato andare suo fratello nella tana dei leoni da solo. Se avesse voluto andarci, l'avrebbe accompagnato. Per anni aveva studiato per fare l'infermiera, china sui libri di botanica, di medicina, di scienze umane... senza sapere che la vera guerra non la si combatte stando seduti ad una sedia, ma imbracciando un'arma e affrontando il nemico a viso aperto.
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Quante gocce nel mio mare
Historical FictionNew York, anno 1915. In una Riverdale pacifica e lontana dal caos della guerra, Amelia Putnam vive appieno i suoi sedici anni e si prepara a compierne diciassette tra pochi giorni. Ma solo il giorno dopo il suo compleanno, il 7 Maggio, il destino è...