Capitolo 7

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La consumazione dei pasti era come un rituale speciale nella famiglia Kovic. Le stesse funzioni, gli stessi passi, le stesse abitudini e gli stessi odori.

Dalle prime luci dell'alba si poteva chiaramente sentire l'aroma della carne cotta, delle rinomate Kotlety di sua madre, accompagnate da una purea di patate. Quello più dolce della crostata di mirtilli, capace di espandersi non solo per il loro piccolo appartamento ma anche per tutta la palazzina che ridava sul corso della Neva.

Il loro quadro famigliare non era completo se non con l'arrivo, al pranzo della Domenica, della arzilla bábuška di Raissa, la madre di mrs. Anechka. Ogni volta che guardava quest'ultima, gli occhi di una bambina dai lunghissimi capelli mossi e bruni, si riempivano di ammirazione. Fin da quando ne aveva memoria, il suo unico scopo era sempre stato di diventare come il genitore, un giorno, e a sua volta di creare una bella famiglia. Avere un marito attento e premuroso come lo era mr. Feliks Kovic, operario in una fabbrica di tessuti. E magari una bambina ubbidiente quanto lo era lei alla sola età di undici anni.

Se ne stava seduta sul tappeto a giocare con i suoi blocchi, ad immaginare una vita da adulta, con una professione che le poteva garantire una posizione sociale e un tasso economico equo. Non voleva essere ricca, voleva solo essere felice. E per quanto, negli anni, aveva sorriso... tanto aveva pianto. La sfortuna sembrava seguirla passo dopo passo che ormai non ci faceva più caso.

Morti i suoi genitori non aveva mai pensato di poter tornare a sorridere. L'incontro con Samuel aveva cambiato ogni cosa e, in quelle circostanze, Raissa aveva detto che sì, poteva concedersi un'altra possibilità di essere l'adulta serena che aveva sognato da piccola. Ma i blocchi di un tempo si erano trasformati in frammenti di vetro appuntiti e in bottiglie di alcol vuote. Il vetro trasparente fungeva quasi da lente di ingrandimento sui titoli dei giornali locali che annunciavano l'affondamento del Lusitania e una lunghissima lista di nomi, di coloro che non avevano fatto ritorno a New York. Samuel Putnam era il cinquantaduesimo nome, subito dopo quello del compagno d'armi Parker.

E nessuno glielo aveva detto. Nessun volto amico era venuto a bussare alla sua porta. Raissa l'aveva scoperto da sola, quella mattina, quando era scesa nella hall per salutare le ragazze e andare a fare una passeggiata sul molo di City Island. E Betty, la sua cara amica, l'aveva trattenuta per un braccio e portata nelle cucine. Insieme a Madame e altre cinque ragazze aveva appreso la notizia. Una di quelle che non avrebbe mai voluto sapere, una di quelle che tentava di tenere alla larga -con ogni mezzo- dalla sua vita.

Non era mai stata molto credente, essendo suo padre ebreo, originario di Kiev. Nella sua famiglia scorrevano varie idee di religione ma nessuno si era mai opposto quando Raissa aveva cominciato a praticare il cattolicesimo come sua madre e sua nonna materna. Era stata proprio la sua bábuška ad incoraggiarla con bibbia, testi sacri e passi di vangeli. Da allora la preghiera era sempre stato il rituale che concludeva la sua giornata, prima di coricarsi sotto le coperte e dormire fino al giorno seguente. Teneva un rosario speciale, dalle perline nere e un semplice crocifisso, di due file, che riponeva sotto il cuscino. Era come se, grazie ad una protezione notturna, entrasse in una bolla che poteva estraniarla dal resto del mondo, anche dalle brutte notizie come quella riportata sui rotocalchi che popolavano ogni angolo dell'America.

Ma c'erano cose che neanche Dio poteva impedire. Ora ne aveva la conferma.

In poche ore la sua felicità era stata spazzata via e lei era morta una seconda volta. Adesso però, sentiva di esserlo definitivamente. Come poteva tornare nuovamente a vivere quando la fonte della sua rinascita si era prosciugata, risucchiata da vili nemici che non si erano fatti scrupoli ad affondare una nave con a bordo migliaia di innocenti?

Quante gocce nel mio mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora