1. Ricominciare

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Non ero mai stata abituata a quel tipo di frenesia. Le persone ti sfrecciavano accanto come se neanche ti vedessero. Sembravano così chiuse e indaffarate nei loro mondi virtuali.

Chini con la testa con lo schermo sul telefono come se fosse la loro unica ragione di vita, si stringevano la borsa o lo zaino al corpo per ingannare i borseggiatori che -permettetemi di dire- erano d'obbligo in una città caotica come New York.

Percorrevo quelle strade e non ne vedevo la fine. Quando urtavo qualcuno il cuore mi batteva all'impazzata a quel contatto così brusco e sconosciuto. Mi ritraevo subito e mi affrettavo ad allontanarmi da lì con la mia valigia e lo zaino, che praticamente mi ero legata addosso in modo che non potessero rubarmela.

Appena avevo messo piede fuori dall'aereo sarei voluta scoppiare a piangere. E no, non per la gioia.

Ero irreparabilmente sola, ora. Nessun fratello confortante, nessuna sorellina prossima alle medie, nessuna madre pronta per darmi un caloroso abbraccio. Uno di quelli che ti arrivano direttamente nel cuore.

Fremetti di panico quando mi guardai intorno. Mi sembrava di essere ferma mentre mi muovevo per le strade affollate e caotiche di una New York così confusionale.

Non mi ci volle molto per rendermi conto che, il problema principale, era che io non riuscivo a tenere il passo con gli altri. Loro correvano, io rallentavo.

Loro avevano fretta di arrivare all'appuntamento più importante della loro vita, io invece stavo cercando di prendermi gioco del tempo.

Se avessi potuto sarei rimasta lì per tutta la vita. Ma la stessa vita mi aveva insegnato che era stupido e immaturo dare per scontato che la mia sarebbe andata avanti sempre.

Era uno di quegli insegnamenti duri che ti accorgevi di avere nello stesso momento in cui le ferite aperte cominciavano a creare quelle cicatrici che ti saresti portata avanti per sempre.

Viviamo con la convinzione che continueremo a vivere.

Negli ultimi mesi mi ero ricreduta su qualsiasi stupida convinzione come quella. Basta un minuto, e tutto crolla.

E la mia vita, lo giuro, stava crollando. Come non vedevo la fine della strada che stavo percorrendo a New York, non vedevo la fine di me stessa. E la cosa mi spaventava, perché sarebbe potuta essere dietro l'angolo e io ci sarei caduta dentro senza neanche fare in tempo ad accorgermene.

"Senta, capisco i suoi principi. Ma deve rendersi conto che sarebbe un ottimo affare... E' una splendida notizia, Julie! Ti ho già detto che non posso, Tom mi aspetta per andare a trovare un amico in Bronx stasera. Ti ho chiesto quel caffè trentadue minuti fa No, sono a Times Square. Non rompermi il cazzo, James!!"

Ascoltare le conversazioni al telefono in mezzo a quella calca di gente era inevitabile. Mi chiesi perché le persone, invece di ammirare i grattacieli più famosi del mondo, spendessero il proprio tempo a parlare al telefono con persone che avrebbero visto di lì a poco.

E poi, come diavolo facevano a vivere così? Correre di qua, correre di là. Fare subito quello, fare subito quell'altro. Era spaventosamente straziante persino per me, che dovevo solo ascoltare i loro drammi.

Mi fermai sulle scale per l'entrata della metro e ricontrollai sul bigliettino da visita la fermata a cui sarei dovuta scendere. Naturalmente l'idea di vivere a New York mi spaventava. Le grandi città, soprattutto la più famosa degli Stati Uniti D'America, erano poco affidabili.

Ma il college che mi aveva proposto il professor Beckham era al confine tra il centro e la periferia. Uscire nel pieno della notte non era certo consigliato, specie da sola, ma speravo ci fosse un po' di tranquillità almeno intorno al campus. Non avevo comunque progettato di farlo. Era già tanto, per la me di quei mesi, aver avuto il coraggio di trasferirsi a quattro ore di aereo da ciò che consideravo casa.

Non mi toccare 3 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora