34. Strizzacervelli

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Un mese. 

Era passato solo un mese dalla prima volta che avevamo deciso di far funzionare le cose in modo diverso. 

Un mese da quando avevo cominciato a sperare che potessimo tornare come avevamo iniziato ad essere. 

Un mese dalla sera del falò. 

E niente era ancora cambiato. 

Io ero sempre dietro al solito bancone, lavando i soliti bicchieri e servendo i soliti clienti, lottando con gli stessi problemi, sperando negli stessi desideri e amando la stessa identica persona. 

Non che biasimassi Tyler. Sapevo ci stesse provando tanto quanto lo stessi facendo io, e ne ero così felice. 

Ma, allo stesso tempo, avevo l'impressione che qualsiasi cosa facessimo insieme fosse marcata dalla consapevolezza che non stesse funzionando affatto. 

Perciò l'idea che le cose sarebbero potute non tornare mai come erano state non faceva che tormentarmi da più di una settimana ormai. 

In fondo, eravamo entrambi cambiati. Ciò intorno a noi era cambiato. Ciò che sapevamo si era completamente ribaltato e, con sé, anche i nostri sentimenti. 

Riuscivo a leggere la parola "Fallimento" persino scritta sul bicchiere di vetro che stavo fissando da più di mezz'ora. 

Fallimento. E se avessimo entrambi fallito? 

Mi risvegliai dai miei pensieri e sospirai, poggiandolo proprio accanto a me, quando il telefono mi vibrò nella tasca. 

Mi asciugai le mani sul grembiule e lo estrassi, sussultando al nome scritto sullo schermo. 

Era un messaggio di Susan. Uno dei tanti che non faceva che mandarmi da settimane, ed uno dei tanti che continuavo ad ignorare. La parte sentimentale di me avrebbe voluto risponderle e dirle che l'avevo perdonata ma, quella più razionale, c'è l'aveva a morte con lei. 

Non riuscivo ancora a capire come avesse potuto non dirmi qualcosa che meritavo di sapere tanto tempo prima. La consapevolezza che chiunque intorno a me ne facesse parte tranne che la sottoscritta mi mandava su tutte le furie. 

Chi erano loro per conoscere una verità così personale su di me e pensare di avere il diritto di manovrarla come se riguardasse esclusivamente loro? 

Già. Per un momento, ebbi l'impressione di dover giustificare le loro azioni. Voglio dire, come si dice una cosa del genere? Non c'è un momento giusto. 

Ma non avrei rinunciato a ciò che meritavo perchè mi sentivo in dovere di perdonare qualcuno. Il rispetto va guadagnato, e avevo come il presentimento di non averne ricevuto abbastanza. 

Eppure leggere il messaggio di Susan mi fece sentire come se fossi io quella che stavo sbagliando. 

So di aver sbagliato, Ele. Credimi, me ne pento ogni giorno. Ma non avevo la più pallida idea di come dirtelo. Non ti chiedo di perdonarmi subito ma, ti prego, cerca di comprendere le mie azioni. Non ho mai voluto farti del male. Ti voglio così bene. 

Scossi la testa, cercando di non lasciarmi persuadere dalle sue parole. Diedi un'occhiata al locale vuoto, lanciando un'occhiata alla strada buia fuori dalle vetrine. 

Shery e Celia mi avevano affidato una chiusura a settimana, perciò scesi dal bancone su cui ero solita lavorare e cominciai a posare le sedie sui tavoli. Mi strofinai le mani per liberarmi della polvere e mi cacciai nel retro del locale per prendere il mio cappotto, proprio quando sentii bussare la porta. 

Sporsi la testa dal retro e vidi Tyler con le mani sul vetro e gli occhi scrutare l'abitacolo. Provai a non sorridere troppo mentre posavo il mio giacchetto su un tavolo e gli andavo ad aprire. 

Non mi toccare 3 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora